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Tech, un raccordo occidentale per contenere la Cina. La proposta Csis

IA, chip, quantum e biotech sono campi cruciali in cui si gioca la rivalità tra Pechino e Washington più alleati. Si può intervenire sulla geografia delle catene del valore per assicurarsi che l’Occidente geopolitico rimanga in testa. L’ultimo rapporto del think tank Usa mappa quelle più cruciali e propone un meccanismo di armonizzazione: materia da G7?

Le tecnologie di frontiera tornano in prima pagina solo a tratti; negli ultimi giorni hanno fatto sensazione le preoccupazioni sulla possibilità di nuovi armamenti satellitari russi, in settimana la Casa Bianca ha da poco aggiornato la lista di tecnologie critiche. Ma la corsa alla supremazia tecnologica è costante, e la battaglia per l’accesso è incandescente anche se in sottofondo; si gareggia in verticale, lungo le supply chain, e in orizzontale, attraverso i controlli alla frontiera.

Questo è l’oggetto dell’ultimo rapporto del Center for Strategic & International Studies, perché come sottolineano gli autori, “la natura globale delle catene di valore di queste nuove tecnologie significa che economia e geostrategia sono ora intrecciate e che i Paesi alleati devono collaborare tra loro per garantire la propria sicurezza”. Non c’è una singola nazione che domini il campo della tecnologia quantistica, o quello dei semiconduttori, le biotecnologie, l’IA o le telecomunicazioni: il know how, i materiali e gli strumenti per produrre e mantenere soluzioni ad alta tecnologia sono distribuiti e frammentati.

LA CORSA È MULTILATERALE

Le instabilità globali e l’assertività di alcuni Paesi stanno agendo da solvente per il collante della globalizzazione, e negli scorsi anni gli Stati si sono mossi di conseguenza. Al centro della scena c’è la competizione strategica tra Cina e gli Stati Uniti, che negli ultimi anni hanno riscritto le regole del gioco imponendo una “cortina di silicio” sulle esportazioni più avanzate e ricorrendo agli alleati lungo la supply chain di chip e IA per renderla più solida.

Tuttavia, questo regime di controlli rischia di indebolirsi col tempo, scrivono gli autori: da una parte Pechino lavora sodo per “de-americanizzare” le catene del valore, dall’altra ricerca e innovazione rendono le restrizioni gradualmente più obsolete, o meno esaustive. La difficoltà di Washington è dunque quella di bilanciare la necessità di mantenere il proprio vantaggio tecnologico, rallentare lo sviluppo di tecnologie avanzate da parte degli avversari, evitare di alienare alleati e partner e non indebolire la propria industria. La soluzione, ragionano gli esperti del Csis, è necessariamente un regime di controlli multilaterale.

QUANTUM TECH

La prima tecnologia in esame è quella quantistica, presa in esame nel merito dei tre riflessi sulla sicurezza nazionale: la promessa di una potenza di calcolo schiacciante, quella di telecomunicazioni in grado di resistergli, e il monitoraggio potenziale dei segnali. La catena del valore di questa tecnologia di nicchia è altamente globalizzata; la ricerca è soprattutto concentrata negli atenei statunitensi e cinesi (Pechino investe più di tutti gli altri nel settore), la gran parte dei prodotti arrivano dall’Europa, mentre alcune componenti si importano dall’Australia, dal Canada, da Nordest e Sudest asiatici, dalla Russia.

Secondo gli autori, la tecnologia quantistica è ancora troppo embrionale perché si possano immaginare dei controlli alle esportazioni: serve “evitare di strangolare” le industrie di Usa e alleati, che messe assieme “potrebbero già essere in ritardo rispetto alla Cina, almeno in alcuni settori”. Paradossalmente, però, “i punti di strozzatura sono più facilmente identificabili in questo settore emergente”: prodotti come i diodi laser, i frigoriferi a diluizione e gli strumenti di litografia ottica “rimangono nelle mani di poche aziende situate in Paesi con cui gli Stati Uniti condividono solide relazioni”.

CHIP E IA

Anche qui la partita si gioca sulla potenza di calcolo (leggi: chip avanzati, moltiplicatori di forza economica e militare). Il terreno è una supply chain incredibilmente complessa, dove però i passaggi chiave fungono da colli di bottiglia. Si parte dalla progettazione, campo che richiede programmi e capitale umano altamente specializzati, dove Usa e Corea del Sud si prendono la parte del leone per quanto riguarda i programmi, con Germania e Cina al seguito, e il Regno Unito – patria di Arm – segna un’incredibile quota di mercato del 95% nel campo della proprietà intellettuale.

Per la manifattura, poi, si deve necessariamente passare dalle macchine litografiche dell’olandese Asml. Questo segmento della catena del valore –materie prime, reagenti chimici e non solo – è concentrato soprattutto tra Usa, Germania, Giappone, Corea del Sud, Cina e Taiwan. Quest’ultima produce la maggior parte dei chip più avanzati, ma disegnati altrove. Il campione cinese Smic detiene quasi il 4% delle quote di mercato globali, ma per via della “cortina di silicio” triangolata tra Washington, Amsterdam e Tokyo (e nonostante gli sforzi) si concentra soprattutto sulla manifattura di chip meno avanzati. Urge mantenere i controlli, scrivono gli esperti Csis, ma soprattutto rimane essenziale la relazione con Taipei.

A valle della catena del valore, nel regno delle applicazioni della potenza di calcolo, le varie incarnazioni dell’IA stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante. Il gioco, rileva il rapporto Csis, sembra semplice: niente chip, niente IA, e la cortina di silicio sta già ostacolando gli sforzi cinesi per costruire semiconduttori adatti in casa. Il rischio latente è l’innovazione “laterale”, anche se per ora sembra contenuto, mentre processi di know your customer abbastanza stringenti possono impedire che degli utenti non autorizzati riescano ad accedere alla potenza di calcolo dei chip “proibiti” da remoto. Diverso il discorso per l’altro grande campo da proteggere è ciò di cui si nutrono i modelli linguistici, i dati, che sono spesso disponibili pubblicamente: dunque regolarne il flusso diventa complesso.

BIOTECH

Il campo vasto e vario delle biotecnologie spazia dal vantaggio tecnologico in campo aziendale alla possibilità di costruzione di armi biologiche. Il rapporto Csis si concentra sui precursori, dove il ruolo della Cina è tutt’altro che marginale e sfiora il 40% delle quote di mercato; seguono l’Europa occidentale con il 26% e gli Usa con il 19%. Anche sul versante accademico Pechino progredisce rapidamente, e un conglomerato industriale in particolare (BGI Group, che raccoglie dati genetici a livello globale) è stato indicato dalla Casa Bianca come un possibile rischio alla sicurezza nazionale nel 2018.

La varietà delle applicazioni biotech rende difficile intervenire sulle esportazioni senza impattare troppo sull’industria, rilevano gli esperti. C’è però spazio per più coordinamento a livello internazionale: “alcuni tipi di apparecchiature di produzione, in particolare unità di fermentazione in acciaio e le tecnologie delle camere microbiche, sono prodotti in quantità sufficientemente basse da da poter diventare punti di strozzatura della catena di approvvigionamento per le biotecnologie industriali”. Le aziende che le producono sono per lo più basate negli Stati Uniti, ma anche in Giappone e Germania.

UN REGIME CONDIVISO

Secondo gli autori del Csis, “l’istituzionalizzazione di controlli multilaterali con gli alleati è la strada migliore per ottenere controlli sulle esportazioni efficaci e duraturi”, e occorre superare i regimi esistenti, ormai obsoleti e poco adatti alla velocità e alla complessità con cui si sviluppano le tecnologie critiche emergenti. La loro proposta passa da un coordinamento basato sui tre pilastri: governance condivisa, rafforzamento delle capacità e controlli sulle esportazioni. In ordine, l’idea è quella di creare e adottare linee guida di base per gli enti pubblici e privati dei Paesi membri sull’utilizzo di queste tecnologie; coordinare gli sforzi di sviluppo delle capacità nei rispettivi campi tecnologici, con un occhio di riguardo per quanto riguarda la diversificazione dai prodotti cinesi; e infine armonizzare gli approcci per limitare i trasferimenti internazionali di tecnologie critiche ed emergenti, per garantire che le politiche di controllo di una nazione sia sostenuta dagli alleati. Il risultato di tutto questo: un fronte tecno-democratico più solido. Quale luogo migliore per porlo in essere del G7?


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