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La natalità ha bisogno di nuovi modelli e meno paure. La ricerca di Magna Carta

Siamo al decimo anno consecutivo di record negativo sul fronte della demografia. Sono tanti i fattori che concorrono a determinare questo scenario, ma più del contesto economico, contano un cambiamento di paradigma culturale e un modello che non prevede il dover fare figli. L’economista Blangiardo e la senatrice Parente all’evento della Fondazione Magna Carta, che ha realizzato la ricerca “Per una primavera demografica”

Cura, costo, conciliazione. Ma, soprattutto, cultura. È la “quarta C”, quella che orienta le decisioni sul mettere su o meno famiglia, sul progettare un futuro con o senza figli. In fondo, molta parte di queste scelte dipendono da “quali tipi di modelli noi trasferiamo ai giovani”.

Gian Carlo Blangiardo, docente e già presidente dell’Istat, parte dalla fine. E pone la domanda a cui è più difficile dare una risposta. Le sue parole fanno da cornice e introducono la ricerca “Per una primavera demografica”, realizzata dalla fondazione Magna Carta con la collaborazione di Jointly, Engineering, WellMAKERS by BNP-Paribas e Prysmian Group, che rappresentano oltre 30mila dipendenti con quasi 900 sedi operative al livello nazionale, e grazie al confronto con altre sei aziende che operano nei settori della distribuzione alimentare, della cosmesi e dell’abbigliamento.

Il metodo

Alla ricerca ha partecipato un campione di 1072 persone, suddivise tra giovanissimi (tra i 17 e i 22 anni), giovani (23-28 anni) giovani adulti (29-34 anni) e adulti over 35. A questi si aggiungono i rappresentanti di alcune categorie specifiche, in particolare 400 insegnanti, 60 operatori sanitari e 70 psicologi.

L’analisi dei dati

In senso assoluto, il principale ostacolo alla natalità è rappresentato dai problemi economici, dalla mancanza di lavoro e dalle limitazioni legate alla carriera. Con una differenza piuttosto marcata – a seconda degli indicatori – fra Nord e Sud del Paese. Ma non è tutto, il 78% del campione intervistato dichiara di aver paura delle “troppe responsabilità”. Ed è qui che si nota una prima, sostanziale, differenza anche tra uomini e donne.

Ragazzi e ragazze

In una scala di valore progressiva da uno a dieci, incide con un peso di otto punti – sulle donne in relazione alla scelta di avere figli – la paura della gravidanza, del parto e della fase successiva. Mentre tra i ragazzi, con un valore nove, incide la paura della responsabilità ma soprattutto il fatto di non sentirsi ancora pronti. Quest’ultimo dato spiega in parte il saldo demografico in cui ci troviamo.

Dieci anni di record negativi

“Per il decimo anno consecutivo – riprende Blangiardo – abbiamo il record negativo di nascite nel 2023. Siamo attorno a quota 385 mila. Ci sono una serie di fattori che concorrono a determinare questo dato e che vanno al di là dei problemi economici e lavorativi. Sto parlando della “quarta C”. Ossia della Cultura”. Secondo l’ex presidente Istat “si è persa, in particolare tra giovani e giovanissimi la volontà di fare figli”. Non sarebbe spiegabile, sennò, il fatto che “nel 1943, sotto le bombe, nel primo trimestre dell’anno si facevano quasi più figli rispetto all’intero 2023”. Il contesto di oggi è mutato a tal punto che “se no si ha la certezza che il paracadute si apre, non ci si butta neanche”. Di qui l’esortazione a trasferire modelli “in cui si può invecchiare assieme ai figli, che sono una componente essenziale del welfare”.

Problema in progressione

C’è un numero, che a prima vista potrebbe anche indurre a un guizzo di ottimismo. Ed è quello sul quale si sofferma Annamaria Parente, già senatrice e coordinatrice Sanità e Welfare, Scienza e Persona del comitato scientifico della fondazione Magna Carta. “Il 67% dei giovanissimi intervistati nell’ambito della ricerca – commenta Parente – dichiara che in futuro vorrà almeno un figlio. Tuttavia, più l’età avanza, più questa volontà va a calare”. A far paura – e qui torna il tema nevralgico – “è l’assunzione di responsabilità e il timore del parto da parte delle potenziali neo madri”.

Nord e Sud

Ma diamo una scorsa ai numeri per capire la differenza di “postura” tra il Settentrione e il Meridione. Se per il Nord e il Centro nella scala dei valori incide – in una scala da 1 a 10 – ben nove punti la limitazione di carriere e la mancanza di conciliazione tra vita privata e lavoro, al Sud i ragazzi attribuiscono a questi indicatori un’importanza di due punti più bassa. Mentre sul versante delle responsabilità, al Sud la “paura” tocca il valore di sei punti, mentre al Nord e al Centro siamo a otto. Nel Mezzogiorno, incidono i problemi di tipo economico. E, in linea di massima, nel campione degli adulti – i 53% – sono i nuclei familiari più benestanti (quelli con un reddito superiore ai 30mila euro all’anno) quelli nei quali si fanno più figli. Addirittura le famiglie con un reddito superiore a 50mila euro all’anno, per l’80%, hanno almeno un figlio.

Dibattito approfondito

Nel formulare l’auspicio che la natalità sia un tema “sempre più al centro del dibattito pubblico”, è il presidente della fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliariello a tirare le fila del ragionamento. “Il senso di questa ricerca – così Quagliariello – è quello di fornire degli strumenti e sondare le cause profonde della denatalità. Una mappatura, in particolare, dell’atteggiamento dei giovani italiani”. Ma l’attività della fondazione non si ferma qui. È lo stesso Quagliariello, in chiusura, a spiegare che “i prossimi step dello studio saranno dedicati all’impatto del tema natalità sull’opinione pubblica tra Francia e Italia e al rapporto fra demografia, mondo del lavoro e nuove imprese”.

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