Migliore è la sinergia tra i due elementi, più efficace è l’azione dello Stato. Cos’ha detto l’ex segretario generale della Farnesina al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri
“Diplomazia e intelligence: l’analisi delle informazioni per l’interesse nazionale” è il titolo della lezione tenuta dall’ambasciatore Michele Valensise, già segretario generale della Farnesina, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri. Il diplomatico si è soffermato sui rapporti tra intelligence e diplomazia, un aspetto che ha definito essenziale della proiezione internazionale di un Paese e delle relazioni tra Stati. Si tratta di due contenitori comunicanti: migliore la sinergia tra i due, più efficace l’azione dello Stato.
Il conflitto tra Israele ed Hamas, esploso con l’aggressione terroristica perpetrata da Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023, è tutt’altro che risolto e ha aperto una fase nuova, non solo nei rapporti Israele e Palestina, ma nell’intera regione. Quell’orrendo attacco, senza precedenti, ha inferto una ferita profondissima allo Stato d’Israele, determinando una sua risposta militare oggetto di critiche e preoccupazione crescente da parte della comunità internazionale, ha osservato Valensise. La genesi del conflitto ha a che fare anche con un difetto di comunicazione e collaborazione tra intelligence e politica, con una sottovalutazione delle informazioni su possibili piani offensivi di Hamas. È accaduto in un Paese come Israele, all’avanguardia e apprezzato dal punto di vista dell’intelligence. Certi segnali infatti c’erano stati, sembra che una parte dell’intelligence avesse svolto bene il proprio compito, trasmettendoli alla dirigenza politica di Israele che però non ha ritenuto di prenderli sono in considerazione. Perché? È una domanda su cui riflettere, dal punto di vista politico, diplomatico e di intelligence.
L’unica pista plausibile per uscire da questa immane tragedia è di creare le condizioni per far riprendere slancio alla formula dei due Stati, Israele che viva in condizioni di sicurezza e uno Stato finalmente palestinese che realizzi le aspirazioni e i diritti di quel popolo. Un negoziato può essere credibile, proponibile, solo se le parti si riconoscono a vicenda. Se invece una delle due, ha come obiettivo politico primario la distruzione dell’altra, l’equazione non funziona, il che vale ovviamente per Hamas. D’altra parte, non è accettabile la visione di alcuni settori estremisti israeliani, che immaginano una soluzione della crisi semplicemente accantonando, o scartando del tutto, la possibilità di riconoscere diritti e garanzie al popolo palestinese.
Circa il ruolo degli europei, in questi quattro mesi l’iniziativa politico-diplomatica per fermare il conflitto, è stata prevalentemente, se non esclusivamente, americana, a causa sia di posizioni differenziate in seno all’Ue sia di meccanismi decisionali poco funzionali (unanimità).
Anche la guerra in corso da due anni tra Russia e Ucraina può essere un esempio utile. Un divario tra informazioni disponibili prima dell’aggressione russa e sviluppi successivi ha portato a un gravissimo conflitto nel cuore dell’Europa. Purtroppo la guerra continua senza una prospettiva di pace. Tutti sono a favore di una di una composizione pacifica, ma per arrivarci occorrono alcune condizioni minime. La Russia dichiara invece di essere pienamente nella ragione nella tutela dei suoi interessi, ottenebrata dalla visione ideologica che di fatto considera l’Ucraina non uno Stato sovrano ma parte del territorio russo (da “denazificare”). Politica e intelligence hanno comunque contribuito a mettere a fuoco una strategia aggiornata di sicurezza, con particolare enfasi sull’esigenza di rafforzamento dei sistemi di difesa europei.
Assistiamo a un’ibridazione tra figure diplomatiche e d’intelligence di primo piano, come per esempio dimostra l’invio in Medio Oriente da parte del presidente americano Joe Biden di Bill Burns, direttore della Central Intelligence Agency, per tentare una mediazione sul rilascio degli ostaggi israeliani e il cessate il fuoco a Gaza. Uno sviluppo rilevante, perché se priva di un solido supporto d’intelligence la diplomazia ha strumenti d’azione meno efficaci. Specularmente, un’intelligence che non fosse guidata da una linea diplomatica chiara e condivisa rischierebbe di essere fine a se stessa, raccogliendo sì dati ma non canalizzandoli verso uno sbocco operativo appropriato, in linea con gli obiettivi del decisore politico.
Anche nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione europea a nuovi Paesi, è da ricordare la necessità di adeguati meccanismi decisionali interni, soprattutto il voto a maggioranza, per formulare una volontà comune che ponga l’Europa in grado di agire da protagonista sulla scena internazionale. Né va sottovalutata la dimensione dei nazionalismi europei, vecchi e nuovi, da contemperare con le esigenze dell’Unione europea di plasmare ed esprimere appunto un interesse comune. Infine, è imprescindibile dare ascolto a Paesi “emergenti” sulla scena internazionale, oggi ricompresi nella formula del “Sud globale”, quali i Brics e in particolare il Brasile, per trovare forme di collaborazione utili sui temi di maggiore interesse per le urgenti e impegnative sfide globali da affrontare.