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Le domande che dovremmo farci sulla disinformazione russa. La versione di Mayer

L’allarme lanciato dall’ammiraglio Cavo Dragone interroga la politica italiana ma anche i media. Come affrontare i tentativi di Mosca di influenzare la mentalità con cui l’opinione pubblica guarda ai singoli accadimenti? Scrive Marco Mayer

“Stiamo assistendo proprio in questi giorni all’intensificarsi di una strategia di disinformazione russa che vede impegnato in prima fila lo stesso [Vladimir] Putin con l’obiettivo di disorientare le nostre opinioni pubbliche attraverso la diffusione di una narrativa fallace. (…) L’obiettivo di Mosca è di approfittare delle prossime consultazioni elettorali che interesseranno anche altri Paesi atlantici dell’Occidente”.

Queste parole dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di stato maggiore della Difesa e futuro presidente del Comitato militare della Nato, interrogano tutta la politica italiana, maggioranza e opposizione. Le domande a cui rispondere sono almeno tre. Perché i leader di partito non intervengono direttamente e preferiscono lasciare ai vertici delle Forze armate la denuncia dei gravi tentativi di interferenza politica del Cremlino sulla democrazia italiana? Considerato che da più di dieci anni la Russia si è trasformata da “regime illiberale” in una dittatura sempre più feroce e aggressiva, non sarebbe l’ora che tutti i leader politici italiani trovino il coraggio di dire agli italiani che il regime di Putin è una spietata dittatura? Visto l’allarme lanciato dall’ammiraglio Cavo Dragone, perché le agenzie rilanciano (senza la minima verifica delle fonti) i comunicati della Tass e perché i giornali e le televisioni non raccontano come funziona la grande macchina propagandistica del Cremlino?

Svolgere inchieste serie su questa materia non è poi così difficile e sarebbe utilissimo. Non serve molto perdersi nella miriade di fake news e dei falsi account sui social che pure non vanno sottovalutati. L’aspetto più importante su cui accendere i riflettori è la narrativa. Sinora l’Unione Europea si è limitata a rincorrere (e smentire) le singole false notizie. EUvsDisinfo ha fatto molto lavoro segnalando oltre 16.000 bufale, ma con esiti tutto sommato poco significativi (come peraltro negli altri campi della evanescente diplomazia europea). Falsificare la singola notizia non cambia la percezione generale del pubblico. Anzi, c’è il rischio boomerang, ovvero potenziare gli effetti delle campagne di influenza.

Ciò che, invece, interessa veramente ai vertici dei servizi segreti russi è influenzare la mentalità con cui l’opinione pubblica guarda ai singoli accadimenti. In questo ambito, le notizie false hanno una funzione sussidiaria perché servono ad alimentare e mantenere inalterate le posizioni.

Uno dei maggiori centri in cui vengono “costruite” e plasmate le narrative di Mosca è il Valdai Club, think thank fondato nel 2004. Negli ultimi venti anni il presidente Putin non ha perso neppure una edizione delle riunioni annuali del Valdai Discussion Club. Alle diverse edizioni hanno inoltre partecipato numerosi membri della sua cerchia. Non è un caso che nel 2014 il Valdai Club abbia cambiato formato allo scopo dichiarato di svolgere una attività di “global agenda setting” sui principali temi della politica ed economia mondiale. Sotto questo profilo, gli archivi del Valdai Club costituiscono una preziosa sorgente per analizzare a monte le origini dei flussi della disinformazione. Allo stesso tempo, consentono sia di ripercorrere il progressivo scivolamento della politica interna dall’autocrazia parzialmente aperta dell’inizio del millennio alla realtà attuale di ferreo regime dittatoriale, sia di analizzarne la postura sempre più aggressiva della Russia sul piano internazionale.

Basta dare uno sguardo ai materiali più recenti elaborati dal Valdai Club sul Medio Oriente per spiegare perché la Russia abbia voluto legittimare Hamas subito dopo il 7 ottobre.  È evidente che – nonostante i buoni rapporti preesistenti tra Putin e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – il tentativo della Russia è stato sin dall’inizio di rompere il proprio isolamento e di piegare ai propri interessi strategici geopolitici, militari ed energetici la crisi in atto. L’interrogativo sarà capire (al di là del supporto – scontato – di Iran e Siria) se e come nelle prossime settimane l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti reagiranno alle sirene di Putin.

Tuttavia, un dato è certo. La narrativa, ispirata da Putin, che sarà diffusa via Telegram, Sputnik News, RT e gli altri canali ometterà tutte le gravissime responsabilità di Hamas sia quelle del 7 ottobre sia quelle relative ai ben 17 anni in cui ha dominato la Striscia dopo aver ucciso, ferito e cacciato da Gaza i fratelli dell’Autorità nazionale palestinese.

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