Primo Paese musulmano al mondo per popolazione, quarto in assoluto, sesta economia globale nel 2027 secondo alcune proiezioni. L’Indonesia è uno dei giganti che va al voto nel 2024, e le sue elezioni saranno un momento fondamentale per la regione indo-pacifica
Se è vero come scrive Parker Novak sul “New Atlanticist” (il blog collettivo dell’Atlantic Council) che il tour elettorale internazionale di quest’anno è uno “stress test cumulativo per la democrazia in tutto il mondo”, allora vale la pena segnarsi un appuntamento oltre a quelli statunitense, indiano e russo: il voto in Indonesia, che sarà domani, 14 febbraio. Alcuni dati per contestualizzare il Paese e la sua importanza a livello internazionale: l’Indonesia è il più grande Paese musulmano al mondo, il quarto più grande per popolazione, e nel 2027 sarà la sesta economia globale (aspetto non indifferente, che porta tra l’altro a ragionamenti sul valore intrinseco di sistemi come il G7, ormai centro dell’Occidente ideale, e del rapporto tra il gruppo delle ipotetiche prime sette economie e il cosiddetto “Global South” a cui appartiene Giacarta).
Duecento milioni di persone andranno alle urne in 8000 seggi: sono 20 mila i rappresentati di vario livello da eleggere. Di questi votanti, il 50% appartiene alla generazione tra Gen-Y e Gen-Z, ossia ha generalmente meno di quarant’anni (dunque è tra coloro che ogni anno diventano forza lavoro, in totale 1,7 milioni). Si tratta di un gruppo elettorale vivace, interessato alle dinamiche interne e globali come l’occupazione, lo sviluppo economico e sociale, la transizione energetica e cambiamento climatico. Ma è altrettanto focalizzato sul valore che il loro Paese può avere nel mondo, consapevoli che non solo la regione in cui si trova l’Indonesia è il centro del futuro, ma anche che le dinamiche geopolitiche sono centrali per la prosperità economica e che questioni come la guerra in Ucraina, e ancora di più quella nella Striscia di Gaza, sono temi che li riguardano da vicino.
Condizione che a quanto pare i candidati presidenziali hanno percepito, dando molto spazio a certe tematiche durante il confronto televisivo del 7 gennaio. Con il presidente in carica Joko Widodo (che i suoi cittadini chiamano “Jokowi”, protagonista di un decennio di grande sviluppo) non candidabile per un terzo mandato, secondo dettami costituzionali, la competizione è tra Prabowo Subianto, attuale ministro della Difesa con un passato discusso, favorito dai sondaggi, nonché sostenuto in via per ora informale dall’attuale presidente, che lo rappresenta come continuazione del suo governo (anche perché il suo primogenito è candidato vicepresidente, aspetto che ha prodotto critiche sulla tenuta democratica del Paese); Ganjar Pranowo, il carismatico governatore di Java, isola che smuove la metà dell’elettorato; Aniseh Baswedan, ex governatore di Jakarta (fino al 2022) che spinge sulla narrazione del cambiamento, raccontandosi come una voce terza, ma è anche sostenuto dagli islamisti.
Aniseh è colui che ha lavorato di più sull’immagine personale (vuol passare da intellettuale che possa affascinare l’elettorato giovane, dove però Pranowo è molto forte grazie all’uso di social come TikTok, amatissimo in Indonesia che ha il secondo maggior numero di iscritti al mondo dopo gli Usa). La sfera personale è considerata solitamente determinante nelle elezioni indonesiane – dove molti aspetti delle policy proposte sono invece simili tra i contendenti, tanto che le differenze sulle proiezioni di voto sono minime, con i due sfavoriti che si unissero le forze per un qualche accordo avrebbero certamente la vittoria. Se dal voto di domani nessuno dei candidati dovesse ottenere più del 50% del totale dei voti espressi, e almeno il 20% dei voti in più della metà delle province del Paese, si andrà al ballottaggio (che non si vota dal 2004) il 26 giugno. Importanti saranno anche le scelte di Nahdlatul Ulama e Muhammadiyah, i due più importanti gruppi musulmani indonesiani, a cui appartengono 80 milioni di elettori.