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Gazprom in declino e petrolio sotto attacco. I guai di Mosca sul fronte energia

Il gigante statale del gas è passato dall’essere la clava di Putin contro l’Europa a una delle più grandi vittime aziendali della guerra. Con la perdita del mercato europeo e poche chance di diversificare, l’azienda non sarebbe più profittevole dal 2023. Intanto i martellamenti ucraini sulle raffinerie russe impattano anche le esportazioni di petrolio

Le esportazioni di gas naturale sono state l’arma più temibile che Vladimir Putin ha brandito contro l’Europa nel condurre la sua campagna contro l’Ucraina. Attraverso la controllata statale Gazprom, il Cremlino aveva fatto in modo di diminuire le scorte europee di gas per poi minacciare il taglio delle forniture, certo che l’estrema dipendenza dell’Ue (che si appoggiava alla Russia per il 40% del gas utilizzato) l’avrebbe dissuasa dal sostenere Kyiv. Nel mentre, la tensione generata sul mercato del gas ha fatto schizzare i prezzi alle stelle e rimpinguato i forzieri di Mosca.

Dopo due anni e un impressionante sforzo di diversificazione – in cui Roma è stata in prima linea – i Paesi europei hanno ridotto la quota di dipendenza all’8%, i prezzi del gas sono rientrati nella normalità, e Gazprom sta diventando l’ombra di sé stessa. Lo stesso Putin ha ammesso il declino dei proventi energetici russi in un’intervista sul canale statale Rossiya 1 domenica scorsa. Nessun problema, ha rimarcato, perché i segmenti non energetici dell’economia russa stanno crescendo (tralasciando il fatto che la sua trasformazione in senso bellico va a scapito della crescita a lungo termine).

Il declino di Gazprom è però ben più grave di quanto Mosca non voglia ammettere, perché gran parte della sua infrastruttura di esportazione andava verso l’Europa – la quale punta a smettere completamente di acquistare gas russo entro il 2025. L’aumento delle vendite di gas alla Cina e sotto forma di gas naturale liquefatto (cui l’Ue attinge tuttora) compensano il 5-10% della perdita dei proventi via gasdotto, ha detto Marcel Salikhov, direttore dell’Istituto per l’energia e la finanza, un think tank russo: Gazprom deve “semplicemente accettare” che non avrà più accesso a un mercato così lucrativo, e “l’unica strada percorribile ora è quella di cercare fonti di reddito relativamente più piccole e svilupparle gradualmente, raccogliendo briciole”.

Nel riportare le sue parole, il Financial Times ha messo le prospettive di Gazprom sotto la lente d’ingrandimento. I suoi utili lordi hanno sfiorato la cifra record di 50 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 2022, ma sono crollati del 40% un anno dopo, mentre i profitti netti sono passati da quasi 10,8 miliardi di dollari a 2,7 – un calo del 75%. Gli stessi ricercatori dell’Accademia delle Scienze russa, controllata dallo Stato, hanno previsto che i risultati dell’intero anno 2023 mostreranno che Gazprom ha cessato di essere redditizia, e che andrà in perdita a partire dal 2025.

Per cambiare sostanzialmente la traiettoria “saranno necessari enormi investimenti in gasdotti e altre infrastrutture per servire i nuovi mercati, nonché il coinvolgimento di partner esterni che non hanno molta fretta di impegnarsi”, sottolinea la testata britannica. Del resto, Russia e Cina non hanno ancora trovato un accordo sulla costruzione del gasdotto Power of Siberia 2, che permetterebbe di pompare verso est il gas che prima scorreva verso ovest, Ma anche nello scenario più ottimistico questo non basterebbe per compensare i proventi europei, per non parlare del fatto che l’impressionante spinta cinese verso la decarbonizzazione viaggi in direzione opposta.

C’è di più. Gazprom risente anche delle dinamiche del mercato interno russo, dove deve vendere a prezzi molto inferiori (ma regolamentati, subendo anche la concorrenza delle realtà private come Novatek). Infine, l’azienda risente dell’utilizzo personale che ne fa Putin per dirottare proventi verso i suoi fedelissimi; dall’inizio dell’invasione lo Stato russo preleva oltre mezzo milione di dollari al mese in tasse aggiuntive. E il quadro sarebbe ancora peggiore se non fosse per l’attività di estrazione di petrolio attraverso la controllata Gazprom Neft, che è diventata l’ancora di salvezza dell’azienda (36% delle entrate e 92% dell’utile netto nella prima metà del 2023).

C’è da dire, però, che le prospettive non sono rosee nemmeno sul fronte del petrolio. Da una parte si stanno intensificando gli sforzi occidentali contro l’aggiramento russo delle sanzioni, dall’altra ci sono i tagli voluti dall’Opec+ (con il forte sostegno del Cremlino) per sostenere il prezzo del greggio. E secondo le ultime rilevazioni di Bloomberg e Reuters, anche Kyiv sta riuscendo ad abbattere i proventi da idrocarburi di Mosca. Dall’inizio dell’anno le forze speciali ucraine stanno martellando le attività di raffinazione nella Russia meridionale con i droni, e i tassi di raffinazione del petrolio russo crollati del 4% (meno 380.000 barili al giorno) rispetto ai livelli di dicembre per via delle riparazioni in corso.


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