Le voci dall’inferno di chi, ancora, dopo due anni combatte per la libertà della propria nazione. Le testimonianza della deputata e dell’attivista ucraine ieri all’evento organizzato da Gelmini e Quartapelle in Senato
“Non abbiamo alcuna chance di sopravvivere senza il vostro aiuto. La guerra non è finita, i razzi cadono tutti i giorni. Ovunque”. La frase esce strozzata. Compressa tra lacrime e dolore. Riecheggia nella sala Nassiriya del Senato, come a disegnare idealmente i contorni di una responsabilità collettiva. A cui non possiamo sottrarci.
Le parole sono di Daria Volodina, deputata della Rada Ucraina. È lei, assieme a Yulia Paievska, paramedica e vincitrice del prestigioso Premio Sakharov 2022, fondatrice del corpo di ambulanze volontario “Angeli di Tajra”, la protagonista dell’evento realizzato dalla deputata dem, Lia Quartapelle e dalla senatrice di Azione, Mariastella Gelmini ieri pomeriggio in occasione dei ventiquattro mesi dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin.
“Ora il conflitto in Ucraina non occupa più le prime pagine dei giornali – ammette Volodina – ma non è finito. La situazione è molto seria, soprattuto per donne e bambini. Ogni giorno Putin cerca di assassinarci tutti”. Ed è per questo che “senza il vostro aiuto, non solo militare, noi non possiamo farcela. Aiutateci e continuate a supportarci”.
Sono gli appelli di una deputata, di una madre. Ma soprattutto di una donna. Che non ha mai smesso di lottare. Benché “sia difficile continuare a vivere, con un figlio, sotto i razzi che scoppiano a pochi metri da casa”.
La deputata inizia a raccontare un episodio di pochi giorni prima. “Ho preso mio figlio in braccio. Abbiamo sentito il boato poco lontano da noi”. Non c’era altro da fare. Terrore, impotenza. Resa, mai.
“Mio marito sta combattendo per la sua terra. Per tutti noi”. Al suo fianco, combattono “sessantamila donne, al fronte, che difendono tutti i giorni l’Ucraina”. Sì, il loro contributo è fondamentale. Essenziale.
Non sono solo “le principali vittime, assieme agli anziani e ai bambini”, ma spesso diventano “ambasciatrici del loro popolo” autentiche “colonne per le loro famiglie”.
La deputata del Pd Lia Quartapelle nel suo accorato intervento riprende il contenuto della risoluzione delle Nazioni Unite. La 1325 del 2000. “Si tratta di una risoluzione importantissima sulla quale l’Italia peraltro si è impegnata a lungo, con anche una serie di finanziamenti – spiega la dem – È importante perché mette in luce la centralità del ruolo della donna nei conflitti e, soprattutto, per la risoluzione degli stessi. Le identifica in qualche modo come figure capaci di mediare”.
Il senso dell’appuntamento di ieri pomeriggio, si riassume in tre parole: donne, pace e sicurezza.
Quartapelle azzarda un ragionamento sul dopo. Su cosa ci sarà da fare per “ricostruire l’Ucraina una volta terminato il conflitto”. E sarà in quella fase che “l’Italia potrà giocare un ruolo determinante”. Non ha paura, la dem, di usare la parola pace. Purché “sia una pace giusta e sicura, sennò non può essere definita tale”.
Per cui, l’esortazione, anche “nel dibattito interno” è quella di “evitare i distinguo e di smarcarsi in nome della stanchezza” e di parlare di “pace giusta e sicura” immaginando un futuro per l’Ucraina “sempre più europeo” nella quale “le donne che stanno lottando, come Daria, possano avere un ruolo”.
La testimonianza di Tajra è straziante. Porta dritti nell’orrore delle torture, delle pressioni psicologiche subite dalle donne fatte prigionieri dai russi invasori. Ed è ancora più angosciante pensare che “mi hanno arrestata, ma io non c’entravo niente con i militari: stavo guidando un pullman di donne e bambini da Mariupol in quanto paramedica”.
Non è servito opporsi, cercare di spiegare. “I russi pensavano che io appartenessi al battaglione Azov”. Per i tre mesi in cui è stata prigioniera “ho visto donne torturate, violentate. In particolare erano le ragazze giovani, magari con figli i “bersagli” più fragili”. Un inferno.
E dall’inferno si esce sempre con pezzi di anima in meno, ma con una determinazione che non conosce ostacoli. Resistere, ancora e ancora.
“Quando mi hanno presa – racconta – non pensavo neanche esistesse un orrore simile nell’Europa degli anni Duemila. Pensavo di essere tornata al Medioevo. Ma io sono stata fortunata, sono stata rinchiusa solo per tre mesi: ci sono donne e uomini che ancora sono là. E alcuni sono prigionieri da dieci anni”.
Già, perché molti che oggi filosofeggiano o si permettono i distinguo, forse non ricordano dell’invasione della Crimea. Era il 2014. Dieci anni fa, appunto.
Ed è anche per questo che l’Europa “ha il dovere dell’unità” e di battersi “per arrivare finalmente a una difesa comune”. Il suggello è di Gelmini, che stabilisce, “prima di tutto per il nostro Paese” un impegno ben preciso: lavorare per la difesa comune.
“Questo è un momento cruciale del conflitto – aggiunge la senatrice – e non possiamo permetterci cedimenti o esitazioni. Allo stesso tempo, però, non possiamo pensare che sia solo la Nato a intervenire o aspettare le prossime elezioni americane per prefigurare le possibili ripercussioni anche sul conflitto in Ucraina”.
L’Italia, insomma, deve avere un ruolo attivo. Gelmini guarda negli occhi Volodina. “Dal nostro Paese – scandisce – l’aiuto non mancherà mai. Saremo in prima linea con voi, perché l’Ucraina è la trincea nella quale si giocano i valori democratici dell’Europa”.
È un conflitto epocale, tra “autocrazie e democrazie”. Perciò “la campagna elettorale non ci deve distoglie dal preciso impegno di essere al fianco dell’Ucraina, senza se e senza ma. Di tempo, se n’è già perso abbastanza: dobbiamo batterci per avere un commissario europeo per la difesa. Non un passo indietro”. La prima linea, passa anche da qui.