Il colosso cinese, accusato di spionaggio dall’Occidente e sotto sanzioni da cinque anni, ha dimostrato una resilienza forse inaspettata, fatta di scelte industriali lungimiranti e buona gestione della cassa. Ecco cosa scrivono gli esperti dello European centre for international political economy
Sarebbe dovuta crollare, sotto il peso delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Eppure le cose sono andate diversamente, almeno a sentire gli esperti dello European centre for international political economy (Ecipe). Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni, più volte messa al bando dai Paesi dell’Occidente, è vivo e vegeto, nonostante le numerose bordate rifilate dagli Usa, nell’ambito della guerra commerciale scatenata dall’amministrazione Trump. Guerra che, come dimostrano le ultime accuse mosse dagli Stati Uniti all’indirizzo del Dragone, è tutt’altro che conclusa.
“Huawei”, hanno scritto gli economisti dell’Ecipe, “sta mostrando una resilienza stoica di fronte alle sanzioni statunitensi, la crisi economica e la lentezza dell’economia cinese, che si ripercuote inevitabilmente sugli investimenti nel 5G. Si dice che l’azienda sia stata sostenuta dal governo cinese, ma la chiave della resilienza di Huawei è multiforme”. Dunque, non c’è la manina di Pechino dietro la tenuta di Huawei? Secondo l’Ecipe no, anche se quattro anni fa il Wall street journal accusò apertamente Pechino di aver finanziato il gruppo con 75 miliardi di aiuti statali, permettendo al colosso di diventare una delle aziende più potenti al mondo. Da Shenzhen, però, arrivò una secca smentita.
“Grazie all’accumulo preventivo di scorte e all’ingegno dietro la tecnologia, l’azienda ha continuato a soddisfare i suoi ordini e a difendere le sue quote di mercato all’estero”, si legge nel report. Contemporaneamente, “Huawei ha preso la decisione di reinvestire i propri guadagni e intensificare la ricerca e lo sviluppo per proteggere le sue catene di fornitura dai rischi politici e diversificare in nuove aree di business”. Insomma, nessun trucco, pura e semplice politica industriale dalla buona lungimiranza. C’è di più. “Le incursioni di successo (di Huawei, ndr) nei semiconduttori, nei servizi cloud e nelle reti energetiche sono stati facilitati da una struttura di capitale che si presta alla pianificazione a lungo termine”.
I numeri sembrano sposare questa tesi. Nel 2023 Huawei, sotto sanzioni dal 2019, quando fu accusata di spionaggio, ha riportato un fatturato in crescita del 9%. E lo stesso vale per i primi sei mesi dello scorso anno, quando la multinazionale delle telecomunicazioni con sede a Shenzen ha infatti registrato un fatturato in crescita del 3,1%, tornando quindi per la prima volta in terreno positivo dal 2020. In conclusione: “La sopravvivenza di Huawei non è necessariamente una lezione sull’inutilità delle sanzioni. Tuttavia, dimostra che obiettivi politici confusi e un’attuazione incoerente delle medesime sanzioni, alla fine danno risultati potenzialmente contrari. Allo stesso tempo i fattori che contribuiscono alla resilienza di Huawei evidenziano anche la grande vulnerabilità di aziende (occidentali, ndr) quotate in borsa come Mavenir, Ericsson e Nokia”.