Il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa rappresenta un’occasione fondamentale per rafforzare il ruolo di Roma come centro di connettività e di aggiungere al progetto di hub energetico con il Piano Mattei una dimensione legata al commercio di beni. L’analisi di Alberto Rizzi, visiting fellow presso lo European Council on Foreign Relations
Un mese dopo l’annuncio al G20 di Delhi, l’ambizioso progetto del Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (Imec) sembrava essere stato bloccato fino a data da destinarsi a seguito degli attacchi di Hamas del 7 ottobre e dell’invasione israeliana di Gaza.
Da un lato, il riaccendersi delle ostilità e il grande numero di vittime civili palestinesi ha comportato una brusca frenata nel processo di possibile normalizzazione tra Tel-Aviv e Riyadh – normalizzazione forse non legalmente necessaria per lo sviluppo del progetto, ma sicuramente fondamentale per dargli un chiaro mandato politico. Dall’altro, il conflitto in corso ha mostrato con chiarezza come qualunque costruzione di infrastrutture non possa prescindere dall’affrontare le questioni regionali di sicurezza.
Tuttavia, proprio un’altra serie di attacchi legata a quanto succede a Gaza sta dimostrando l’importanza di sviluppare nuove connessioni: gli attacchi Houthi nel Mar Rosso rappresentano un campanello d’allarme della vulnerabilità del collo di bottiglia costituito da Suez e dal Mar Rosso. Anche se Imec costituisce più un’opzione complementare che alternativa a Suez – avrà comunque una capacità di trasporto assai inferiore – permetterebbe di allentare la pressione sul canale, fornendo una rotta aggiuntiva per alcuni tipi di beni.
Nonostante la guerra il progetto è tutto tranne che fermo: rispondendo a dinamiche strutturali, Imec sta subendo sì un rallentamento, ma le parti interessate stanno intensificando i contatti per gettare le basi del corridoio durante questa pausa forzata. La scorsa settimana, il primo ministro indiano Narendra Modi si è recato in visita – per la settima volta da quando è in carica – negli Emirati Arabi Uniti. Tra gli accordi bilaterali firmati in questa occasione, oltre a quelli commerciali e dedicati agli investimenti, spicca un accordo quadro intergovernativo per lo sviluppo del corridoio economico. L’intesa prevede di continuare gli sforzi per la realizzazione di Imec e segnala quanto il progetto resti di grande importanza per entrambi i partner nonostante le tensioni attuali. Per l’India rappresenta una via d’uscita dall’accerchiamento cinese del corridoio Cina-Pakistan, mentre risponde alle ambizioni di Abu Dhabi di diventare hub commerciale tra Europa e Asia, rafforzando un ruolo di ponte economico.
Anche le controparti europee, o almeno alcune, si stanno muovendo. Il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente nominato Gerard Mestrallet, ex presidente del colosso energetico Engie, come sherpa incaricato della realizzazione del corridoio, su cui lavora anche il Quai d’Orsay. La scelta di un peso massimo come Mestrallet suggerisce un interesse strategico francese alla componente energetica del corridoio, ma con opportunità anche in ulteriori ambiti. Le connessioni ferroviarie previste dal progetto offrono occasioni al produttore di treni Alstom e ad altre aziende francesi, dalle costruzioni alla logistica. Del resto, Macron ha ribadito più volte come la Francia sia (anche) un Paese Indo-Pacifico e Imec si inserisce nel solco di una strategia volta alla riduzione delle vulnerabilità, diversificando da Pechino e puntando su partner alternativi, tra cui l’India. Proprio nei giorni scorsi Mestrallet ha indicato la volontà di convocare un primo incontro per discutere del corridoio economico con i rappresentanti degli altri Paesi coinvolti.
Gli ha fatto eco il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis che, ospite del Raisina Dialogue a Nuova Delhi, ha indicato il Pireo come la porta d’ingresso all’Europa per l’India. L’uso del porto greco per il corridoio costituisce un perno fondamentale dei piani del governo di Atene per ritagliarsi un ruolo di primo piano nelle connessioni tra Europa e Asia. Tuttavia, il fatto che lo scalo sia detenuto al 67% dalla società statale cinese China Ocean Shipping Company (Cosco), rappresenta un fattore di preoccupazione per l’India, poco incline a mettere interamente nelle mani di un’azienda cinese l’approdo europeo di un corridoio che mira proprio a rompere l’accerchiamento di Pechino. Qui l’attivismo francese risponde anche all’eventualità di un ulteriore punto di sbarco a Marsiglia, il più grande terminale cargo francese e già punto di approdo (insieme a Genova) del cavo sottomarino BlueMed, che segue esattamente la direttrice mediterranea di Imec.
All’appello mancano solo due firmatari europei del memorandum dello scorso settembre: Roma e Berlino. Se l’interesse della seconda al corridoio risponde più a questioni di diversificazione energetica future e all’importazione di idrogeno, oltre che al de-risking dalla Cina, l’Italia avrebbe tutto l’interesse a candidarsi come terzo terminale europeo del corridoio. Gli investimenti nella portualità italiana, in atto anche grazie al Pnrr, e la posizione favorevole nei traffici commerciali mediterranei rendono la penisola un ottimo candidato ad intercettare parte dei flussi di Imec. Tuttavia, a Roma tutto sembra fermo e la proiezione internazionale del governo si sta concentrando sul Nord Africa, partner storico e fondamentale sul piano energetico sul resto del continente africano nel quadro del Piano Mattei. Imec rappresenta però un’occasione fondamentale per rafforzare il ruolo dell’Italia come centro di connettività e di aggiungere al progetto di hub energetico una dimensione legata al commercio di beni con Golfo e India.
Oltretutto, a Berlino possono essere concesse attenuanti che Roma invece non ha: la coalizione di governo che sostiene Olaf Scholz sta attraversando un brusco calo di consensi e il Paese sta uscendo da una recessione dovuta alla crisi del proprio modello energetico e della dipendenza dalla Cina come mercato di esportazione. Al contrario, il governo italiano gode di un’ampia maggioranza – anche se più litigiosa del solito con l’avvicinarsi delle elezioni europee – e Meloni può vantare buoni rapporti personali con Modi che vanno ben oltre l’hashtag #Melodi.
Nonostante ciò, Imec sembra essere sparito dai radar di gran parte della politica italiana e dalle scelte strategiche del Paese, fermato dalla guerra a Gaza. Mentre l’Italia sta ferma, gli altri però si stanno muovendo e il rischio di arrivare per ultimi è un pericolo: se Grecia e Francia procedono speditamente, sarà poi difficile trovare spazio o poter cambiare piani già stabiliti. Nell’anno della presidenza del G7, inevitabilmente sono concentrate sul summit, ma per non perdere l’occasione rappresentata da Imec è importante dotarsi di una struttura dedicata che possa interfacciarsi con gli altri Paesi firmatari e contribuire a scrivere i piani di sviluppo del corridoio. Altrimenti, il rischio concreto per l’Italia è di trovarsi a giocare un ruolo secondario, sia nella geografia di Imec che nelle occasioni per le aziende e i porti italiani: meglio non perdere questo treno.