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Investimenti, eurobond e capitale. Cosa si muove nell’Europa della Difesa

Mentre l’Europa si prepara a conoscere i dettagli della Strategia per l’industria della Difesa, si sta delineando un quadro di programmi d’investimento condivisi e collaborativi che puntano a rafforzare la base industriale per la difesa. Dal piano da cento miliardi di Breton al coinvolgimento della Banca europea degli investimenti e degli eurobond, mosse che potrebbero avere impatti significativi sia sull’autonomia europea sia sul rapporto con la Nato

In attesa di sapere cosa si deciderà il 27 febbraio nel corso della riunione della Commissione europea, quando il presidente Ursula von der Leyen dovrebbe presentare i dettagli della Strategia per l’industria della Difesa europea, si moltiplicano le indicazioni e i programmi che saranno poi alla base del finanziamento di questa stessa industria militare comune per il Vecchio continente. Sembra tracciarsi una linea ormai solida assunta dai Ventisette per quanto riguarda le proprie esigenze di Difesa, seguendo più che un approccio militare, legato cioè all’ipotesi di formare delle Forze armate europee, compito per ora lasciato agli Stati membri, un approccio economico, puntando soprattutto al consolidamento di una base industriale per la difesa, puntando su programmi comuni, procurement congiunto e sostegno alla produzione di munizioni. Tutti settori dove l’Unione può agire con maggiore efficacia.

Programmi di investimenti

Sicuramente, uno dei principali programmi che con ogni probabilità saranno ricompresi all’interno della Strategia è lo European defence investment programme (Edip), uno strumento finanziario il cui obiettivo è mobilitare investimenti comuni per la Difesa, un meccanismo permanente per incentivare ulteriormente i Paesi membri a collaborare nel procurement di equipaggiamenti. Ancora non sono chiari i numeri di questo programma, la cui proposta venne avanzata già nel 2022, né in che modo dovrà dialogare con gli altri programmi dell’Ue già in campo, l’Edirpa (trecento milioni messi a disposizione per rimborsare gli acquisti se effettuati in cooperazione da almeno tre Stati membri) e l’Asap (cinquecento milioni per il supporto all’incremento della capacità di produzione europea di munizioni, dai missili ai colpi d’artiglieria, destinati sia al sostegno militare all’Ucraina, sia per rinfoltire le scorte dei Paesi membri intaccate dall’invio degli aiuti a Kiev).

I cento miliardi di Breton

Non è nemmeno chiaro se questo programma recepirà la proposta avanzata a gennaio dal commissario per il Mercato interno Thierry Breton, di strutturare un fondo europeo da cento miliardi di euro per finanziare la costruzione di una Difesa europea. L’obiettivo dichiarato di questa cifra, ritenuta necessaria per recuperare i gap accumulati dalla difesa europea, è proprio quello di incentivare gli investimenti capacitivi di produzione e programmazione, con il fine strategico di rafforzare un’autonomia industriale europea e, di conseguenza, la capacità di deterrenza del Vecchio continente. Una proposta che, non a caso, è stata sostenuta fin dall’inizio dal presidente francese Emmanuel Macron.

Il ruolo della Banca europea degli investimenti

Anche sul modo in cui si potranno finanziare tutte queste iniziative c’è dibattito, ma si sta facendo sempre più strada l’ipotesi di un finanziamento effettuato attraverso sovvenzioni pubbliche, ovvero l’uso di Bonds europei come leva finanziaria a supporto dell’industria della difesa. Una proposta portata avanti dal presidente del Consiglio Ue Charles Michel. Il presidente, tra l’altro, ha voluto immaginare soprattutto la partecipazione della Banca europea degli investimenti (Bei), a supporto della sicurezza e difesa europea e in favore di una “full-fledged Defence Union”. Attualmente, infatti, i finanziamenti per la difesa non sono previsti dal mandato della Bei, ma le condizioni geostrategiche attuali potrebbero portare a un ripensamento di questo principio, soprattutto dal momento che, anche nel settore finanziario, si sta imponendo la visione secondo cui non può esserci sviluppo e crescita senza la sicurezza, garantita quindi anche dalla difesa.

Le ricadute sulla Nato

Il tema degli Eurobond per la Difesa, inoltre, si collega direttamente anche ai vincoli di spesa previsti dall’Unione europea nel suo Patto di stabilità, che in casi come quello del nostro Paese, limitano necessariamente le possibilità di manovra nell’incrementare le spese della Difesa. Una limitazione che se impatta sicuramente sulla Difesa europea, si collega con la fatidica soglia del 2% del Pil da investire nel comparto previsto dall’Alleanza Atlantica e di recente rimesso al centro del dibattito dalle parole di Donald Trump, in corsa per la candidatura repubblicana alla Casa bianca. Nonostante le speranze, infatti, le spese militari non sono state scomputate dalla nuova versione del Patto, che ha semplicemente previsto l’inserimento del tema tra i fattori da prendere in considerazione quando si deve stabilire se aprire o meno una procedura d’infrazione contro un Paese che dovesse sforare i vincoli stabiliti. Accedere al credito garantito dalla Bei permetterebbe di investire anche ai Paesi più in difficoltà sul piano del debito pubblico.

Credito per l’innovazione

Di recente, inoltre, la Commissione e il Fondo di investimento europeo (Eif) hanno lanciato il programma Defence equity facility (Def), 175 milioni di euro messi a disposizione di piccole e medie imprese del settore per aumentare l’accesso al capitale. Questo denaro sarà investito tra il 2024 e il 2027 e mira a stimolare un ecosistema di fondi di investimento privati per l’innovazione nella difesa. L’obiettivo è quello di arrivare a raccogliere circa cinquecento milioni di euro in fondi privati, ponendo l’Unione europea come investitore principale, capace di attrarre poi gli investitori privati. L’iniziativa sembra prendere l’ispirazione dal parallelo strumento di accelerazione dell’innovazione della Nato Diana, pensato per facilitare lo sviluppo delle start up inserendole in un framework di collaborazioni esteso lungo tutta l’Alleanza. Inoltre, l’obiettivo dichiarato di Diana è proprio quello di rendere le società accelerate più attrattive anche per i fondi stanziati dalla Nato, come quelli messi a disposizione dal Nato Innovation fund.

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