L’esperto militare israeliano spiega come le contingenze politiche abbiano spinto la leadership di Hamas a realizzare questo attacco, che ha preso tutti di sorpresa. Sfruttando le debolezze del sistema di difesa israeliano nel suo complesso
“La situazione per Israele è complessa, molto complessa”. È così che Israel Ziv decide di aprire il suo intervento. Ex membro delle Israeli Defense Forces, andato in congedo con il grado di generale di divisione, Ziv è un affermato analista militare e commentatore politico. Le sue iniziative per aiutare a respingere con successo i terroristi di Hamas dal territorio israeliano all’indomani del 7 ottobre lo hanno catapultato nel ruolo di uno degli esperti più ricercati di Israele, e non solo. Motivo per cui è stato invitato a Roma ad animare l’evento “Israele, Quo Vadis?”, promosso dall’European Jewish Organization e dall’Ambasciata d’Israele in Italia, e svoltosi nella mattina di lunedì 26 febbraio presso l’Hotel Meridien Visconti.
Fin dall’inizio, ammette Ziv prendendo la parola in apertura dell’incontro, Israele è stata presa completamente di sorpresa, e ha dovuto sviluppare in fieri il suo piano d’azione. Un piano sviluppato intorno alla certezza che Hamas non avrebbe dovuto più essere in controllo di Gaza. A partire dal suo capo, Yahya Sinwar. Un personaggio di estrazione estremista sin dalla prima gioventù, responsabile in prima persona di atti orribili perpetrati in nome della sua ideologia. E con un odio profondo verso Israele, la cui distruzione era il suo obiettivo finale. Obiettivo che ha pianificato nei dettagli durante la sua detenzione nelle carceri israeliane, ispirandosi metodologicamente a Qassem Soleimani e ad Hezbollah. Non a caso i dettagli degli attacchi del 7 ottobre, dall’utilizzo di razzi alla struttura dei commando penetrati in territorio israeliano, sono stati mutuati dal gruppo armato libanese. Un attacco studiato per sopraffare Israele secondo il principio dello “swarming”, dice Ziv. Non singole incursioni chirurgiche, che Tel Aviv sarebbe stata capace di gestire più facilmente, ma una serie di attacchi simultanei per mettere in crisi la sua struttura protettiva.
Un’operazione che non poteva essere rimandata ulteriormente, e questo Sinwar lo sapeva bene: all’orizzonte si profilava l’accordo tra Israele e Arabia Saudita, accordo che avrebbe inflitto un colpo mortale alla causa di Hamas. Così il leader di Hamas ha scelto di avviare la sua grande azione il 7 ottobre; una data scelta per motivi e simbolici e pratici in quanto sacra per Israele, impegnata nel festeggiamento dello Yom Kippur. Prendendo così di sorpresa non solo gli israeliani, ma anche i propri alleati: Ziv sottolinea infatti come, secondo l’intelligence di Tel Aviv, Sinwar non avesse informato né Teheran né tantomeno la dirigenza degli altri gruppi proxy iraniani nella regione, allo scopo di evitare fughe di notizie indesiderate. Alleati che Sinwar sperava entrassero in guerra a loro volta contro lo Stato israeliano, secondo informazioni raccolta ex-post dall’intelligence di Tel Aviv.
Riuscendo così ad ottenere un effetto sorpresa totale, che ha preso alla sprovvista la difesa israeliana. La cui intelligence non è stata in grado di prevedere il colpo in arrivo. “Avevamo degli indizi, dei singoli pezzi, ma ci mancava la visione d’insieme”. La situazione strategica di Israele è molto particolare: essendo circondata da nemici, e non avendo risorse sufficienti per coprire al massimo tutte le frontiere, l’intelligence ricopre un ruolo fondamentale nell’organizzare le difese. Non avendo ricevuto l’allarme, non è stata avviata la mobilitazione necessaria. Il 7 ottobre, le Idf non erano pronte a rispondere ad un attacco di una simile portata: le unità schierate in quella zona erano pronte a reagire in caso di infiltrazioni limitate, ma non a gestire un’operazione su così larga scala. 3500 militanti di Hamas entrati attraverso sessanta diversi punti rappresentano uno “swarming” che quelle forze israeliane non sarebbero state capaci di fermare neanche se poste alla massima allerta.
Ma gli errori dell’intelligence non sono stati l’unica causa del disastro. Accanto a questi vanno considerate le profonde divisioni politiche interne del Paese, una visione “biased” dei sistemi di difesa statici (come i costosi e ipertecnologici muri costruiti lungo il confine, che Hamas ha superato senza problemi scavandovi al di sotto), e la mancanza di una massa di manovra adeguata. E questa risposta tutt’altro che pronta, denota l’analista israeliano, è stata causa di tante perdite e tanti rapimenti registrati nelle prime ore dell’attacco.
Ma le forze di Israele hanno saputo reagire dopo la batosta delle prime ore, riuscendo a respingere i militanti nemici dal territorio israeliano e mettendo in atto l’operazione militare su Gaza senza avere già disponibile un piano adatto alle contingenze, bensì sviluppandolo sul momento. Con l’obiettivo strategico ultimo di eliminare, politicamente e militarmente, Hamas. E manovrando allo stesso tempo con il chiaro obiettivo di salvare gli ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre dai militanti.
Sul futuro di Gaza, Ziv non ha dubbi che sia necessaria una soluzione politica. Anche in tempi relativamente brevi: più le Idf permangono a Gaza, minore è la loro efficacia nella conduzione di operazioni militari. La grande questione rimane chi può prendere il controllo della Striscia nel periodo di transizione post-ritirata delle Idf: al momento la risposta migliore sembra essere quella di una task-force internazionale che garantisca la ricostruzione e la prevenzione del riemergere del fenomeno terroristico nel futuro.