Le parole della Guida Suprema iraniana alimentano le tensioni in Medio Oriente e mettono a rischio la pace. Non possiamo rimanere zitti. Il commento di Marco Mayer
Da giorni cerco di scoprire senza successo perché nessun giornalista italiano legge il Tehran Times. Me lo chiedo perché nessun mezzo di informazione (né le televisioni né i giornali né i social media) ha riportato le ultime dichiarazioni pronunciate giovedì scorso dalla Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, in occasione della 40ª edizione della tradizionale competizione sulla interpretazione coranica. L’ayatollah ha definito lo Stato di Israele “un cancro da estirpare” auspicando per l’ennesima volta la sua distruzione, ha ribadito il massimo sostegno dell’Iran ai barbari miliziani delle brigate Al Quassam di Hamas a Gaza e, last but not least, ha duramente redarguito i Paesi islamici che non hanno tagliato tutti i canali con Israele.
A pochi giorni dalle elezioni (farsa) per il Parlamento, le dichiarazioni dell’ayatollah hanno un duplice significato.
Sul piano interno per la classe politica iraniana grande è la preoccupazione per la possibile impennata dell’astensionismo elettorale. In Iran c’è una grande sfiducia verso il regime che ha risposto con una dura repressione alla vastissima ondata di proteste popolari del 2022-2023.
Sempre sul piano interno occorre tener conto che è iniziata la competizione per la successione della Guida suprema. A Teheran, dietro le quinte, si sta svolgendo un fisiologico scontro di potere interno alla nomenclatura (tipico di tutti i regimi autoritari) tra le diverse fazioni dei Guardiani della rivoluzione e i maggiori esponenti del clero.
Ma il guaio maggiore è sul piano della politica internazionale. Parlare di Israele come “cancro da estirpare” non è solo un odioso elemento di disinformazione a fini interni ed esterni. Oltre alla propaganda antisemita, negli ultimi mesi l’Iran ha aumentato del 40% la produzione bellica ed è il principale fornitore di armi (missili, droni, caccia, sottomarini, eccetera) alla Russia di Vladimir Putin, alla Siria di Bashar al-Assad, agli Houti in Yemen, a Hezbollah in Libano.
Non ho notizie di manifestazioni pacifiste o di sit-in davanti all’ambasciata dell’Iran per protestare contro l’export di armi micidiali che incendiano i teatri di guerra in tante parti del mondo. E neppure per ricordare l’ignobile assassinio di Masha Amini e di altre ragazze, repressioni violente che i servizi iraniani hanno cercato in tutti modi di coprire.
Spero che i media italiani accendano finalmente i riflettori sulle posizioni dell’ayatollah Khamenei e sulle responsabilità del governo iraniano rispetto alle guerre in corso.