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Licenza di morte per Hamas e obbligo di tregua per Israele?

Molteplici e non tutte in buona fede le motivazioni del crescendo delle pressioni internazionali affinché Israele interrompa i combattimenti, che da alcuni giorni sono arrivati a Rafah. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Trasfigurazione di una pace che da millenni cerca invano l’uscita dal labirinto di odi e di sangue del Medio Oriente, la striscia di Gaza sta assumendo per l’opinione pubblica internazionale il ruolo geopolitico del miraggio della cessazione delle ostilità e della ripresa della coesistenza pacifica fra israeliani e palestinesi. La realtà è purtroppo molto diversa e incommensurabilmente più atroce e disumana.

Dopo aver subito nell’ottobre scorso il più atroce ed efferato massacro di civili, soprattutto bambini e donne, nonché il sequestro di centinaia di ostaggi, mai compiuto nei 75 anni dell’esistenza dello Stato ebraico, Israele ha scatenato un’offensiva militare contro le basi di Hamas a Gaza. Una guerra senza quartiere per la sopravvivenza di Israele e per sradicare i terroristi islamici dalla striscia.

“La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”, sosteneva Albert Einstein. Una definizione più volte utilizzata tuttavia per sollecitare l’interruzione unilaterale dei combattimenti da parte dell’Idf, le forze di difesa israeliane che avanzavano all’interno di Gaza smantellando i bunker sotterranei sotto ospedali, moschee e sedi Onu e le basi missilistiche di Hamas, che ha sempre usato la popolazione palestinese come scudi umani per coprire covi, attacchi e agguati.

Dopo Gaza city, Deir al-Balah e Khan Yunis la pressione dell’opinione pubblica, delle Nazioni Unite e di vari governi internazionali si è fatta via via più pressante, fino a giungere, quando Israele ha annunciato l’offensiva contro Rafah, ultima roccaforte di Hamas al confine con l’Egitto, ad accusare Gerusalemme di genocidio nei confronti dei palestinesi.

L’infuriare della guerra ha continuato a provocare momenti di grande tensione che hanno raggiunto il culmine con le parole del segretario di Stato vaticano, Cardinale Pietro Parolin, il quale ha invitato il governo israeliano a fermarsi invocando una risposta “proporzionata” che “certamente con 30 mila morti palestinesi non lo è ” ha sostenuto.

Parole accorate fino adesso mai usate dalla Santa Sede, neanche per stigmatizzare precedenti attentati del terrorismo islamico o per condannare il massacro delle ragazze e degli studenti iraniani da parte del regime degli ayatollah di Teheran. Con la conseguenza di cercare di imporre dialetticamente a Israele una tregua unilaterale col proprio destino, mentre Hamas resterebbe libera di sfuggire all’accerchiamento di Rafah di riorganizzarsi e di ricominciare a colpire le città israeliane. “La pace richiede quattro condizioni essenziali: verità, giustizia, amore e libertà” diceva un altro Pontefice, Giovanni Paolo II, esperto di comunismo e terrorismo.

Un ulteriore rilevante aspetto delle pressioni internazionali affinché Gerusalemme interrompa l’offensiva è quello di attribuire a Israele il giudizio morale personale riguardante l’ostinazione del premier Netanyahu di portare a termine la lotta per la sopravvivenza attuale e futura dello Stato ebraico.

Una determinazione a sradicare Hamas giustificata anche dalla liberazione da parte delle forze speciali di due ostaggi e dalla ennesima scoperta che il gruppo terroristico islamico utilizza come base le strutture ospedaliere.

Secondo il portavoce dell’Idf, il contrammiraglio Daniel Hagari “informazioni credibili provenienti da diverse fonti, compresi gli ostaggi rilasciati, indicano che potrebbero esserci corpi dei nostri ostaggi nella struttura ospedaliera di Nasser a Khan Yunis. Come è stato dimostrato con l’ospedale Shif, l’Ospedale Rantisi, l’Ospedale Al Amal e in molti altri ospedali in tutta Gaza, Hamas utilizza sistematicamente gli ospedali come centri del terrorismo” .

Secondo le valutazioni dell’intelligence occidentale, oltre l’85% delle principali strutture mediche di Gaza sono state effettivamente utilizzate per operazioni terroristiche da Hamas, che continua a usare come carne da macello la popolazione palestinese, addebitando continuamente agli israeliani il numero delle vittime che contribuisce in larga misura a provocare.

Fa un certo effetto constatare come molti attacchino i presunti torti di Israele con molto più vigore di quanto difendano e tutelino il suo diritto all’esistenza. Dimenticando soprattutto che la pace non è mai unilaterale e non è concepibile una licenza di morte per Hamas e un obbligo di tregua per Israele. “Tutti facciamo parte di una storia infinita” cantava Jim Morrison.

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