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Maupal, un perfetto interprete del pontificato. La riflessione di Cristiano

Francesco si cala attraverso uno strappo nel filo spinato che sormonta la scena verso un uomo e una donna che sono come calati sotto un muro di cinta e li aiuta ad “evadere”, verso la “libertà”, come dice la freccia vicino al pontefice. Libertà dall’odio e dalla paura. Riccardo Cristiano spiega perché il disegno di Maupal, ripreso dal Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, è voce efficace ed espressiva del pontificato bergogliano

Quando ho visto su Vaticannews che il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede ha pubblicato il disegno dell’arte di strada di Maupal, all’anagrafe Mauro Pallotta, sono immediatamente andato a cercarla. Mi sono ricordato quando le autorità capitoline fecero cancellare un disegno a Borgo Pio, bellissimo.

Quando sono arrivato a destinazione mi sono detto che la scelta in sé era eccellente e che il disegno è di grande impatto: Francesco si cala attraverso uno strappo nel filo spinato che sormonta la scena verso un uomo e una donna che sono come calati sotto un muro di cinta e li aiuta ad “evadere”, verso la “libertà”, come dice la freccia vicino al pontefice. Libertà dall’odio e dalla paura, spiega l’articolo. Bellissimo. L’odio e la paura oggi attanagliano milioni di noi.

L’iniziativa ovviamente è legata e collegata al messaggio per la Quaresima, e arriva all’inizio dei giorni dedicati agli esercizi spirituali. Guardando mi sono detto se non sia già un ottimo esercizio spirituale capire questo disgegno che dà finalmente a Francesco qualcuno capace di esprimerlo, di interpretarlo, di rappresentarlo nello stile e nelle modalità che accompagnano il suo pontificato e che contano quanto il messaggio.

Il messaggio della Quaresima, della liberazione dal Faraone, è noto a tutti. Questa vignetta ci aiuta a capire meglio un passaggio del Messaggio che Francesco ha scritto, come ogni papa fa ogni anno, per la Quaresima. Il punto è questo: “Nel mio viaggio a Lampedusa, alla globalizzazione dell’indifferenza ho opposto due domande, che si fanno sempre più attuali: «Dove sei?» (Gen 3,9) e «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Il cammino quaresimale sarà concreto se, riascoltandole, confesseremo che ancora oggi siamo sotto il dominio del Faraone. È un dominio che ci rende esausti e insensibili. È un modello di crescita che ci divide e ci ruba il futuro. La terra, l’aria e l’acqua ne sono inquinate, ma anche le anime ne vengono contaminate. Infatti, sebbene col battesimo la nostra liberazione sia iniziata, rimane in noi una inspiegabile nostalgia della schiavitù. È come un’attrazione verso la sicurezza delle cose già viste, a discapito della libertà. Vorrei indicarvi, nel racconto dell’Esodo, un particolare di non poco conto: è Dio a vedere, a commuoversi e a liberare, non è Israele a chiederlo. Il Faraone, infatti, spegne anche i sogni, ruba il cielo, fa sembrare immodificabile un mondo in cui la dignità è calpestata e i legami autentici sono negati. Riesce, cioè, a legare a sé. Chiediamoci: desidero un mondo nuovo? Sono disposto a uscire dai compromessi col vecchio? La testimonianza di molti fratelli vescovi e di un gran numero di operatori di pace e di giustizia mi convince sempre più che a dover essere denunciato è un deficit di speranza. Si tratta di un impedimento a sognare, di un grido muto che giunge fino al cielo e commuove il cuore di Dio. Somiglia a quella nostalgia della schiavitù che paralizza Israele nel deserto, impedendogli di avanzare. L’esodo può interrompersi: non si spiegherebbe altrimenti come mai un’umanità giunta alla soglia della fraternità universale e a livelli di sviluppo scientifico, tecnico, culturale, giuridico in grado di garantire a tutti la dignità brancoli nel buio delle diseguaglianze e dei conflitti”.

Dire anche questo con un disegno che raffigura Francesco calato ad aiutare due detenuti a fuggire dal pozzo dell’odio e della paura è eccezionale. Ma non basta questo a spiegare l’effetto che questo disegno ha avuto su di me. Mi sono ricordato di padre Diego Fares, il gesuita compagno di una vita di Francesco e scomparso troppo presto, purtroppo. Diego Fares mi onorava della sua amicizia, o per meglio dire della sua capacità di spiegare e spiegarmi di più del suo amico argentino. In un libro sui dieci consigli che Francesco dà sempre ai suoi preti padre Fares ricorda quello di non perdere il buon umore. È uno dei dieci punti. E in effetti quella del papa sorridente, che scherza, fa battute, a volte semplici, a volte esilaranti, è una caratteristica che mi ha sempre colpito di Francesco. Entra il buon umore in chi guarda questo disegno? Io credo di sì. Il tratto coglie uno stile innovativo del pontificato. Giù quel manto serioso che accompagna molto spesso il presbitero, anche a tavola: il papa scherza, sorride, ride. È indispensabile per liberarsi dai falsi idoli, dal volersi imporre su tutto, su tutti. È una riforma questa che Francesco non può codificare. Non può imporre con un rescritto: “Si prescrive ai presbiteri il buon umore, almeno dopo i pasti”. Questo nessuno potrà farlo, imporlo, prescriverlo. Ma pubblicando questo disegno il Dicastero vaticano ha dato spazio al buon umore che il cartone comporta, trasmette, al suo tono “garibaldino”, se così si può dire, oppositivo, contro un ordine ingiusto. Dunque questo disegno a mio avviso si è fatto interprete anche del buon umore che Francesco invita a non perdere. Per inseguire, proporre un ordine migliore. C’è, o ci sarebbe, tanto da dire sul buon umore e il cambiamento dei cuori.

L’immagine scelta poi mi ha fatto ricordare che il papa ad aprile visiterà il padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia, segno di quel rapporto speciale con l’arte che noi stiamo perdendo, mentre Francesco vuole rafforzare, per la Chiesa e per tutti noi. Il tema della biennale di quest’ anno, “stranieri ovunque”, ci porta certamente a Francesco, al suo magistero, a quella visita a Lampedusa di cui ha fatto cenno anche nel brano citato del suo messaggio quaresimale. Il padiglione della Santa Sede vuole spingere ad aprire gli occhi sugli ultimi e gli scarti della società, e dove è stato allestito questo padiglione? Nel carcere femminile della Giudecca. Ecco il punto che mi ha fatto stabilire un contatto tra questo disegno e la Biennale: il carcere. Il carcere dove odio e paura ci rinchiudono. E contro odio e paura il buon umore della vita, quello che Francesco propone sempre ai suoi preti di non perdere – come mi ha spiegato tempo fa il carissimo padre Diego Fares – è un veicolo e un antidoto fondamentale. Il cattivo umore, la cupezza, ci rassegna a credere che non si possa credere nella libertà. Il buon umore invece è – a mio avviso – un’esortazione rivoluzionaria a credere che liberarci dal Faraone e dai falsi idoli (tutti ne abbiamo) è possibile e il disegno di cui sto parlando lo dimostra. Questo messaggio ha bisogno di veicoli e il disegno in questione a mio avviso è un potente ed efficace strumento di comunicazione.

L’arte infatti è parte del messaggio bergogliano. Padre Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero per la Cultura, a Radio Uno ha parlato della visita del papa a Venezia. E dopo averne spiegato le modalità ha detto: “La scelta forte e controcorrente della Santa Sede è stata quella di allestire il Padiglione dentro il Carcere Femminile della Giudecca. E il Papa ovviamente incontrerà le detenute perché saranno proprio loro a fare da guida ai visitatori. È questo che Francesco vuol dire: che l’artista con i suoi occhi guarda e insieme sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e di capire le cose. Sarà evidente quest’anno alla Biennale di Venezia il legame tra arte e impegno civile, tra bellezza e lotta allo scarto. Questo, dunque, il messaggio che il Papa vuol dare con la sua presenza alla Biennale: l’arte è voce dei sogni e delle inquietudini umane”. Questo disegno è voce a mio avviso efficace ed espressiva del pontificato bergogliano.

 

 

 

 



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