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Cosa nascondono le ambiguità di alcune forze politiche italiane su Navalny. Scrive Sisci

Ammesso e non concesso che si debba arrivare a un compromesso con Mosca sull’Ucraina ciò non significa che si debba farlo rinunciando ai nostri principi – che i dissidenti non vanno ammazzati e chi ammazza i dissidenti appartiene a un altro circolo ricreativo. Il commento di Francesco Sisci

Le proteste per la morte del dissidente russo Navalny a Roma sono rimaste in parte ambigue. Le forze politiche non si sono schierate tutte nello stesso modo nella nobile manifestazione promossa da Carlo Calenda.

Come notava Stefano Folli su Repubblica, la piazza era divisa in tre settori, graduati secondo la distanza dal presidente russo Vladimir Putin, che ha mandato Navalny in prigione. Una parte dei partecipanti si diceva sicuro che Navalny fosse stato ucciso da Putin mentre altri erano, in un gradiente meno sicuri.

In effetti la questione di per sé è, nella migliore delle ipotesi, di lana caprina. Se mandi una persona in prigione oltre il circolo polare artico a 50 sotto zero certamente schiatta. È un miracolo se non succede. Quindi ci sono oggettivamente possibilità sotto zero che Putin sia innocente di questa morte. Né lui si straccia le vesti per la fine di Navalny dimostrando palesemente la sua colpa.

La questione reale non verte sulla responsabilità di Putin. È piuttosto sul rischio (o speranza, a seconda dei punti di vista) che in America l’ex presidente Donald Trump torni in carica e stringa un patto con Putin. Esso avrebbe conseguenze molto incerte per l’Europa, compresa l’eventualità che una parte del vecchio continente sia riconsegnato all’orbita di Mosca.

Il rapporto ambiguo fra Trump e Putin è balzato alle cronache americane. Il presidente Joe Biden ha definito “unAmerican” non americano, indegno della nazionalità americana, l’atteggiamento di Donald. Gruppi minoritari di repubblicani hanno chiamato Trump “traditore” per Navalny.

Qui ancora forse c’è uno strato di ragionevolezza. I sostenitori dell’ex presidente affermano che la situazione in Ucraina è troppo critica, comunque bisogna venire a patti con Putin.

Forse è così o forse no. Ma questo atteggiamento nasconde una tara di pensiero.

Nel 1971-72 quando Nixon venne a patti con Mao lo fece pur restando anti comunista. Né Mao si convertì alle vie di Wall Street: nel suo primo viaggio a Pechino fece salutare l’ospite da amene folle che sventolavano “abbasso l’imperialismo americano”.

In altre parole, ammesso e non concesso che si debba arrivare a un compromesso con Mosca sull’Ucraina ciò non significa che si debba farlo rinunciando ai nostri principi – che i dissidenti non vanno ammazzati e chi ammazza i dissidenti appartiene a un altro circolo ricreativo.
Se non si fa questo distinguo passa il messaggio che anche nel mondo libero, e anche in Italia in questo caso, c’è chi vorrebbe ammazzare i dissidenti come ha fatto Putin.

I nostrani dubbiosi pelosi di Putin possono pensarlo oppure sono spaventati dalla ferocia di Putin e quindi si preparano a piegarsi. Questo più di ogni altra cosa è pericolosa, la complicità attiva o passiva alle barbarie.

Ma anche senza pensare ai valori, forse vale la pena pensare con realismo. Se non vince Trump che succede? E che succede se Trump vince e non onora il patto apparente con Putin? Del resto oggi gli conviene l’appoggio di Putin ma se domani fosse eletto gli conviene qualche altra cosa.

Inoltre per ora c’è Biden e forse ci rimarrà e bisognerebbe in primo luogo allinearsi con l’amministrazione in corso. Se cambia si cambierà. Allora gli italiani cerchiobottisti da sempre dovrebbero esserlo anche stavolta. Solo che anche nel cerchiobottismo ci vuole sapienza.

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