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Netanyahu verso Rafah. Pressione finale su Hamas, a rischio gli aiuti umanitari

Netanyahu spinge verso Rafah l’invasione terrestre per ottenere il massimo contro Hamas prima di un possibile cessate il fuoco. Mentre il rischio umanitario sale, c’è anche preoccupazione per la riemersione di Hamas al nord, per tentativi di dislocamento dei palestinesi e per gli equilibri con l’Egitto

L’ufficio del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha spiegato che l’offensiva sulla Striscia di Gaza si sta definitivamente spostando verso sud, dove gli abitanti di Rafah sono stai invitati a evacuare un’area estesa di combattimento perché ci sarebbero “quattro battaglioni di Hamas” contro cui verranno dirette le Israeli Defense Forces (Idf) – e sarebbe “impossibile eliminare Hamas” senza distruggerle. Rafah è un valico nella posizione meridionale della Striscia, unico punto percorribile al confine con l’Egitto e finora unico modo per entrare a Gaza senza il consenso di Israele (che ha assediato l’intero territorio palestinese dopo l’attentato di Hamas del 7 ottobre scorso, che ha dato il via alla guerra). Da Rafah entrano gli aiuti umanitari alla popolazione della Striscia, oppressa da oltre quattro mesi perché gli israeliani non hanno soltanto invaso l’area, ma l’hanno completamente isolata – anche dai beni di prima necessità.

La condizione umanitaria devastata della zona peggiorerà con gli attacchi a Rafah, perché essi complicheranno il passaggio degli aiuti inviati dalle Nazioni Unite e tramite stanziamenti speciali di alcuni singoli Paesi (come l’Italia). Gli attacchi a Rafah si susseguono da settimane, ma ora il messaggio di evacuare significa che la guerra terrestre arriverà fino a quel territorio, imponendo la fuga a coloro che vi si erano rifugiati dalle aree più settentrionali mano a mano che scendeva l’invasione. A Rafah adesso ci sono 1,3 milioni di persone, tra abitanti dell’area e tantissimi profughi – che sono lì per richiesta israeliana. “Evacuazione dove? Non c’è nessun posto dove andare!”, dice su X Agnes Callamard, segretario generale di Amnesty International che poi calca la mano tirando in ballo il termine fortissimo “genocidio” – quello con cui Israele viene accusato dal Sudafrica davanti alla Corte Penale Internazionale.

Secondo Geist Pinfold della Durham University, in una corsa contro il tempo, perché sa che dovrà presto cessare il fuoco: “Ma prima deve scalpare i leader di Hamas o liberare gli ostaggi. Quindi, le considerazioni politiche di Bibi stanno guidando questa corsa dell’ultima possibilità a Rafah. E saranno i civili di Gaza a pagarne il prezzo”. Ci sono timori che sia l’inizio effettivo del dislocamento palestinese al di fuori della Striscia. Mentre fonti di Formiche.net ricordano che adesso il rischio è il ritorno di una emersione di Hamas al nord del Paese, dove le Idf hanno in parte mollato la presa per scorrere al Sud, occorre anche ricordare le preoccupazioni sollevate da Giuseppe Dentice (CeSI) a proposito degli equilibri con l’Egitto – che potrebbero crescere se i dislocamenti dei palestinesi finissero nel Corridoio di Philadelphi. Per il capo delle comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, invadere Rafah sarebbe “un disastro” e gli Usa “non lo sosterrebbero”.


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