Giorgia Meloni in Europa vuole contare. Perciò ha preso le distanze da Marine Le Pen, perciò ha assicurato ad Ursula von der Leyen i voti del proprio partito per la riconferma alla presidenza della Commissione europea. Se la percezione di Orban non cambierà e se Orban entrerà davvero nel gruppo dei Conservatori, la premier acquisirebbe una maggiore forza parlamentare, ma potrebbe essere messa nelle condizioni di non poterla usare
In Fratelli d’Italia sono convinti che ad orchestrare la manovra sia stato Antonio Tajani in quanto leader di Forza Italia. Sarebbe stato lui, attraverso il leader del Partito popolare europeo di Manfred Weber, a far uscire sull’agenzia di stampa Ansa la nota anonima con cui ieri il Ppe ha posto il veto alla collaborazione futura con il gruppo dei Conservatori europei (Ecr) presieduto da Giorgia Meloni qualora vi entrasse Fidesz, il partito del presidente ungherese Viktor Orban.
Orban ha lasciato il Ppe prima di essere cacciato a causa della sua politica autoritaria in Ungheria, della sua vicinanza a Vladimir Putin e del conseguente freno posto all’ingresso della Svezia nella Nato. Il fatto che, dopo aver posto il veto, nei giorni scorsi abbia accettato di votare gli stanziamenti europei in favore dell’Ungheria non sembra aver cambiato la percezione che di lui hanno i suoi ex alleati popolari. “Un’eventuale adesione di Viktor Orban al gruppo Ecr sarebbe un serio ostacolo per la futura cooperazione del centro-destra nel parlamento europeo, un regalo alla minoranza liberale e di sinistra e minerebbe l’influenza dell’Ecr sulla direzione delle politiche dell’Ue”, questo il monito fatto filtrare ieri a Bruxelles. Un testo accompagnato da considerazioni a dir poco dirette, tipo “accogliere Fidesz metterebbe in discussione la credibilità di Giorgia Meloni”.
Due considerazioni. Il fatto che Manfred Weber, o chi per lui, abbia scelto la via della nota anonima piuttosto che quella del discorso pubblico lascia intendere che, sul punto, nel Ppe non vi sia uniformità di vedute. Tra i popolari, c’è evidentemente anche chi teme una flessione elettorale dei partiti membri e all’ipotesi di una riedizione dell’alleanza di governo con i socialisti preferisce quella di un’inedita convergenza con il gruppo Conservatore, a sua volta rafforzato dai voti sovranisti di Fidesz.
La seconda considerazione riguarda Giorgia Meloni in quanto tale. La presidente del Consiglio è consapevole del fatto che il vento gonfi ancora le vele dei partiti sovranisti. Si aspetta, dunque, che il 9 giugno i Conservatori divengano il terzo partito europeo grazie al successo elettorale di FdI in Italia, del PiS in Polonia, di Vox in Spagna e di Fidesz in Ungheria. A minacciare il suo piano, due elementi. La resistenza dei polacchi, che in Putin rivedono Stalin, all’ingresso nei Conservatori del partito filo russo di Orban è il primo. Il secondo elemento è più impalpabile, ma potrebbe rivelarsi esiziale. In Italia si fatica a percepire il grado di radicale incompatibilità tra i partiti centristi e i partiti di estrema destra che rappresenta invece la regola in Francia piuttosto che in Germania.
A differenza di Matteo Salvini, destinato all’impotenza finché rimarrà nel gruppo estremista di Identità e democrazia, Giorgia Meloni in Europa vuole contare. Perciò ha preso le distanze da Marine Le Pen, perciò ha assicurato ad Ursula von der Leyen i voti del proprio partito per la riconferma alla presidenza della Commissione europea. Se la percezione di Orban non cambierà e se Orban entrerà davvero nel gruppo dei Conservatori, Giorgia Meloni acquisirebbe una maggiore forza parlamentare, ma potrebbe essere messa nelle condizioni di non poterla usare. “In Italia si deve capire che Fidesz è diventato tossico nello spazio politico europeo: chi salva Orbán perde di credibilità”, dice una fonte anonima citata oggi dal Corriere della Sera.
La partita è appena iniziata, le variabili sono diverse, l’esito finale sarà decisivo per il futuro politico della giovane premier italiana.