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È Podesta il nuovo zar del clima Usa. Cosa lo aspetta

Lo storico consigliere dem sostituirà l’inviato speciale del presidente sul clima. Con l’omologo cinese Xie, che si è dimesso in parallelo, Kerry ha giocato un ruolo fondamentale nel ripristinare il dialogo climatico tra Washington e Pechino. Con una relazione complessa da bilanciare in un anno elettorale, cosa aspettarsi dai due nuovi zar del clima?

Sarà John Podesta il prossimo inviato speciale per il clima della Casa Bianca. Subentrerà a John Kerry, il primo a ricoprire questa carica nella storia degli Stati Uniti, che ha deciso di dedicarsi alla campagna di rielezione di Joe Biden. È un passo naturale per Podesta, oggi consigliere senior del presidente e supervisore dell’attuazione delle politiche climatiche statunitensi (tra cui l’Inflation Reduction Act). E una nomina di peso: il dem è stato chief of staff della Casa Bianca di Bill Clinton e consigliere di Barack Obama, nonché presidente della campagna presidenziale di Hillary Clinton nel 2016.

A Podesta andrà l’arduo compito di riempire il vuoto che lascia Kerry. Oltre ad aver prestato servizio come segretario di Stato sotto Obama, l’inviato uscente ha passato decenni a lavorare sulla politica climatica globale. Sotto l’amministrazione Biden ha “riportato gli Stati Uniti alla leadership sul clima in tutto il mondo”, ha dichiarato il suo successore designato al Washington Post mercoledì; “faremo in modo di mantenere lo slancio che è stato costruito grazie ai suoi sforzi”.

Come Kerry, anche Podesta porta con sé un’esperienza di spicco. I due sono stati protagonisti nella mediazione del primo accordo bilaterale tra Usa e Cina sui cambiamenti climatici nel 2014, una svolta diplomatica che ha aperto la strada all’accordo sul clima di Parigi del 2015. Il nuovo zar del clima Usa ha dunque un arsenale di contatti con i diplomatici del clima, specie quelli dell’altro maggior emettitore mondiale di gas serra. Il nuovo inviato del clima “apporterà importanti competenze al lavoro che ci attende, in particolare per quanto riguarda le sfide concrete dell’attuazione della Cop28”, ha dichiarato mercoledì Kerry in un comunicato.

L’EREDITÀ DI KERRY E IL RAPPORTO CON LA CINA

L’endorsement dell’inviato uscente è pesante. Insieme all’ex inviato cinese per il clima Xie Zhenhua, Kerry è stato protagonista del riavvicinamento climatico tra Washington e Pechino anche al netto del deterioramento delle relazioni. Pure Zhenhua si è dimesso dal suo ruolo, subito dopo la Cop28 di Dubai, e anche suo successore vanta un profilo di rilievo: Liu Zhenmin è stato viceministro degli Esteri e sottosegretario generale delle Nazioni Unite e ha iniziato a rappresentare Pechino su questioni climatiche dal 2007.

Tanto si deve all’amicizia personale tra i due ex inviati, tanto forte da resistere alle tensioni crescenti tra Washington e Pechino e possibilmente evitare il disimpegno totale sul fronte delle emissioni – cosa che nei fatti rischia di vanificare lo sforzo internazionale per limitare il riscaldamento globale. Quando le due superpotenze hanno ristabilito una serie di contatti dopo la gelata dell’episodio del pallone-spia, Kerry e Xie hanno riavviato la cooperazione climatica e stretto il cosiddetto accordo di Sunnylands, in cui Usa e Cina hanno stabilito una base di ambizione – più rinnovabili, interventi sul metano e non solo – che hanno poi portato insieme alla Cop28.

Si può dire che il lavoro dei due ex inviati abbia consentito il raggiungimento dell’accordo globale di Dubai sull’abbandono graduale dei combustibili fossili. Un risultato ambizioso considerando che nello stesso periodo gli Usa sono diventati il più grande produttore mondiale di idrocarburi (ruolo che sta contribuendo ad attutire l’impatto della crisi in Medio Oriente). E anche la Cina, pur rimanendo il principale inquinatore del pianeta e rifiutandosi di riconsiderare il suo obiettivo di neutralità climatica al 2060, sta dimostrando quanto valga la moral suasion climatica accumulando record su record di installazioni di capacità rinnovabile.

Sapendo di essere in uscita, Xie e Kerry hanno anche lavorato per assicurarsi che i loro sforzi diventassero più strutturali. Nel 2021 Cina e Usa hanno concordato di istituire un gruppo di lavoro permanente per collaborare sulla transizione energetica e sui temi come il metano, la deforestazione e l’economia circolare. Il gruppo, che si è riunito virtualmente a gennaio, è pensato per sostenere i progressi durante il cambio di inviati e, potenzialmente, anche il cambio di presidente Usa.

TRA ELEZIONI E COP29: LE SFIDE DEL 2024

Difatti, sono le elezioni l’altra grande sfida (oltre alla pesante eredità di Kerry) con cui dovrà misurarsi Podesta. La Casa Bianca avrà meno spazio di manovra sul versante Cina, dovendo Biden dimostrarsi abbastanza rigido su uno dei pochi temi – la rivalità con Pechino – che rimane una priorità per entrambi gli schieramenti politici statunitense. Al contempo, come dimostra la decisione di sospendere i nuovi permessi di esportazione per il gas naturale, il presidente uscente sta alzando l’ambizione sul versante dei combustibili fossili, cosa che potrebbe finire per impattare sulla volontà di collaborazione.

Questa scelta è stata fatta in funzione dell’elettorato più giovane, disincantato dal profilo di Biden, dalla sua età e dalle sue concessioni in materia di idrocarburi. Però avrà ripercussioni sulla disponibilità globale di gas naturale, colpendo le economie asiatiche (tra cui la Cina) che hanno sofferto della della corsa ai rifornimenti europei della stagione 2022-2023, dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Un esempio che illustra come i riflessi della campagna elettorale possano far irrigidire Pechino, in un momento in cui le esportazioni cinesi di materie prime per la transizione stanno diventando un’arma per la competizione tra le due superpotenze.

Il 2024 sarà anche un anno in cui il dibattito climatico, che sfocerà nei lavori della Cop29 di Baku, ruoterà attorno alla questione di quanto i Paesi sviluppati debbano contribuire finanziariamente per aiutare quelli emergenti ad affrontare il riscaldamento globale e la transizione. Elemento che richiama anche il contenzioso tra Occidente geopolitico (specie gli Usa) e la Cina, nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio e non solo, sullo status della potenza asiatica nello spettro tra emergente e sviluppato – e le responsabilità che ne conseguono, sul clima come sulla stabilità internazionale.


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