Il dibattito sul premierato deve uscire dagli inquinamenti ideologici. Va considerata la riforma per ciò che propone non per chi la propone. Maggioranza e opposizione devono lavorare nel merito per garantire maggior stabilità agli esecutivi. E rivedere le prerogative del presidente del Consiglio non è un attentato alla democrazia. Conversazione con Nicola Drago, presidente di IoCambio
Uscire dalla prospettiva ideologica e affrontare il dibattito sulle riforme istituzionali nel merito. Di più. Considerare “la sostanza” della proposta avanzata e non “chi la propone”. L’associazione culturale ioCambio ha un obiettivo ambizioso e interviene nel dibattito sulla riforma del premierato con un bagaglio contenutistico di grande livello maturato in questi mesi di lavoro e confronto con costituzionalisti del calibro di Sabino Cassese. Ed è il presidente dell’associazione nonché amministratore delegato della De Agostini editore, Nicola Drago a consegnare le sue riflessioni a Formiche.net.
Partiamo dall’approccio di ioCambio alle riforme istituzionali. Qual è la base del vostro lavoro?
La mia esperienza è quella di un imprenditore che, subentrato in un’azienda che aveva tanti problemi, ha cercato di rimetterla in sesto. Dunque il primo punto da cui siamo partiti è il tempo. A nostro modo di vedere, non è ammissibile che un esecutivo – come è successo fino a ora – duri in media 14 mesi. Se avessi avuto così poco tempo, non sarei riuscito a fare nulla per rilanciare l’azienda. Ed ecco perché a nostro giudizio l’obiettivo principale della riforma istituzionale è quello di garantire maggiore stabilità ai governi. Un impegno né di destra né di sinistra.
Quella del premierato, però, è una delle riforme che più in assoluto sta caratterizzando l’attività dell’attuale maggioranza. È pertanto difficile immaginare un dibattito senza una connotazione politica.
È proprio questo lo sforzo maggiore che chiediamo alla politica. La nostra associazione ha preso in esame – dopo aver mappato altre forme di assetto istituzionale diverse, partendo dal modello francese o da quello tedesco – la riforma del premierato perché è quella che è stata avanzata in questa legislatura. La politica dovrebbe considerarla per ciò che è, non per chi l’ha presentata.
Quali sono i punti che ritenente validi del progetto di riforma presentato dalla maggioranza, all’esito dell’integrazione degli emendamenti e delle modifiche recepite in corso d’opera?
Il primo grande merito è la garanzia per la durata degli esecutivi. Anche l’elezione diretta del presidente del Consiglio a noi piace, tanto più che non si tratta di una modalità plebiscitaria o populista come qualcuno ha sostenuto. Si tratta, al contrario, di una grande assunzione di responsabilità da parte dei politici.
Cosa intende dire?
Il più grosso problema dei politici è che, una volta eletti, non rispondono più ai cittadini ma al Parlamento. Invece, l’elezione diretta, rappresenta un elemento di garanzia. Un po’ come succede con i sindaci sui territori. L’elezione diretta è un modo per ristabilire un contatto diretto tra governanti e governati.
I punti critici?
Non ci sembra una buona soluzione il subentro del “secondo premier”. È stata fortunatamente rimossa la soglia al 55%, mentre noi riteniamo indispensabile il ballottaggio per l’elezione del primo ministro. È una questione di democraticità.
La paura che serpeggia tra le file dell’opposizione è legata al ridimensionamento dei poteri del presidente della Repubblica. Nonostante le rassicurazioni, c’è chi sostiene che con questa riforma alcune delle prerogative del Capo dello Stato saranno ridimensionate. Come la vede lei?
È evidente che, conferendo maggiori poteri al presidente del Consiglio, i poteri del Capo dello Stato siano rivisti. Ma questo non è necessariamente un male e soprattutto non è “l’attentato alla democrazia” come qualcuno vuol far credere. Qualcuno che peraltro, fino a poco fa, sosteneva la necessità di una revisione costituzionale.
Entriamo nel merito. La riforma stabilisce, tra le altre cose, che il premier possa avere potere di revoca dei ministri.
Non sarebbe una novità. Sono tanti infatti i sistemi nei quali, alla presenza di un premier anche non eletto direttamente, spetta a quest’ultimo il potere di sciogliere le camere e di designare la squadra dei ministri.
Tra le vostre proposte c’è quella di mantenere la soglia per l’elezione del Capo dello Stato sempre ai 2/3 del Parlamento. Perché?
Per noi è una questione di equilibrio e di rispetto. Questa proposta è volta a scongiurare la possibilità che una maggioranza parlamentare possa eleggersi il “suo” presidente e lottizzare le istituzioni. Non sarebbe accettabile.