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Salvini gioca a destra. Pd-5Stelle uniti? Ci perde Conte. Parla Tarchi

La protesta degli agricoltori al di là di qualche simpatia per le forze populiste rischia di aumentare il livello dell’astensionismo alle Europee. Il caso Salis è un fronte aperto, in cui Salvini tenta di attrarre voti a destra. Schlein è in difficoltà e i dissidi con i cattolici non sono rimarginabili. E a Conte non conviene l’alleanza col Pd. Conversazione con il politologo Marco Tarchi

Dalla protesta dei trattori probabilmente “nessuna delle forze politiche uscirà indenne”. Neanche coloro che stanno cercando di accreditarsi come interlocutori credibili, facendosi carico di alcune istanze. Benché sia verosimile un accrescimento dei consensi delle forze populiste, le forze di destra “classiche” faranno fatica a raccogliere voti da questo malcontento. Il leader leghista Matteo Salvini cerca, anche sfruttando il caso di Ilaria Salis, di attrarre consensi a destra, mentre il Pd è attraversato da tensioni fortissime. Sia all’interno – e il caso dei cattolici ne è un esempio – sia nel rapporto con il Movimento 5 Stelle. Quale scenario si profila, quindi, sia internamente che in Europa? Formiche.net lo ha chiesto al politologo e docente all’Università degli Studi di Firenze Cesare Alfieri, Marco Tarchi.

Professor Tarchi, in questi giorni assistiamo alla grande mobilitazione degli agricoltori di tutta Europa. È un malcontento che sta divampando. Elettoralmente, secondo lei, chi riuscirà a dare risposte a questo tipo di istanze anche in vista delle Europee?

Malgrado i tentativi di alcuni governi – fra cui quello francese e quello italiano – di dimostrarsi disponibili verso una parte delle istanze avanzate dai manifestanti, dubito che le formazioni della destra e della sinistra “classiche” usciranno indenni dalla protesta. Anche se lo spostamento dei consensi verso i loro sfidanti, salvo specifiche situazioni nazionali, probabilmente sarà di entità contenuta, perché nelle categorie che esprimono questo malcontento la sfiducia verso il mondo politico è generalizzata, e potrebbe semmai accrescere ulteriormente il tasso di astensione.

A quale partito, secondo lei, potrà rivolgersi questo tipo di elettorato?

In linea generale, i partiti populisti, che vantano ormai una traduzione di critica verso l’Unione europea, che è il primo bersaglio della protesta del mondo rurale. In alcuni Paesi, però, questa collera potrebbe trovare sfogo nel voto per formazioni estemporanee e “corporative”, che magari – vedi il caso dell’Olanda – faticano a raggiungere grandi cifre nelle consultazioni legislative ma, in un’elezione che molti cittadini continuano a considerare secondaria come quella per il Parlamento europeo, potrebbero fare da polo di attrazione per i contestatori.

Il caso di Ilaria Salis ha generato diversi malumori. Mentre Meloni e Tajani hanno condotto le trattative sul livello politico e diplomatico, Salvini si è lanciato in un attacco alla docente. Che strategia sta adottando il leader della Lega e, soprattutto, cosa ambisce a ottenere?

Come anche le voci sulla possibile candidatura nelle sue fila del generale Vannacci fanno pensare, la Lega probabilmente punta ad attrarre consensi in un elettorato fortemente connotato a destra che comincia a rimproverare a Meloni gli atteggiamenti sempre più moderati e compromissori assunti – al di là delle dichiarazioni via social – su più temi, nonché l’appiattimento sulla linea atlantista. Che agli occhi di un certo numero di questi elettori Ilaria Salis appaia più come una militante globetrotter di un’ultrasinistra propensa a far tornare di moda lo slogan “uccidere un fascista non è reato” che come una vittima della violazione dei “diritti umani” degna delle attenzioni di Tajani e Meloni, è più che probabile. E Salvini ne pare consapevole.

A proposito di Ungheria, dopo gli iniziali veti, Orban ha ceduto e l’Ue è riuscita a sbloccare altri 50 miliardi per Kiev. Quanto, al di la della narrazione, ha inciso l’azione mediatrice di Meloni?

Questo possono saperlo solo i protagonisti del dialogo e dell’accordo. Di sicuro c’è che, nell’occasione, Meloni è apparsa molto più come una zelante curatrice degli interessi e della volontà di quell’Unione europea che fino a poco più di un anno fa riempiva di strali.

Schlein e Conte stentano a trovare un accordo politico. Il campo largo è difficile da ricomporre. Ma, realisticamente, è immaginabile un futuro per i due partiti non federati?

Più che immaginabile, a me pare certo. Perché, se mai una federazione si creasse, per il M5S sarebbe l’anticamera della dissoluzione. Una parte del suo attuale elettorato, che è tutt’altro che progressista, lo abbandonerebbe e non pochi dei suoi esponenti cederebbero al richiamo delle sirene di un’integrazione in un partito più strutturato e più in grado di assicurare loro un futuro. Le recentissime defezioni di eletti passati con Calenda sono un segnale da non trascurare.

I cattolici di centrosinistra sono sempre più in difficoltà all’interno del partito. E le parole di Pierluigi Castagnetti, in questo senso, sono state molto chiare. La costola “bianca” del partito è destinata a staccarsi definitivamente e a chiedere ospitalità altrove o Schlein riuscirà a trovare un punto di incontro?

Dubito che possa esistere un punto d’incontro fra le posizioni dei cattolici del Pd e un’esponente del più acceso radicalismo progressista qual è Schlein, che occupa il posto in cui si trova perché alle primarie ha raccolto i consensi di elettori di sinistra che volevano esprimere la propria contrarietà a quel tipo di partito che, dai tempi dell’Ulivo a quelli della segreteria Veltroni, ha sempre guardato più alla conquista di un elettorato moderato e centrista che alla soddisfazione delle loro istanze. Se e quando i mugugni e il dissenso sfoceranno in una o più scissioni, o in ritiri personali dalla politica, è questione che investe le riserve di pazienza dei candidati alla rottura – o la possibilità di un cambio di segreteria.

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