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L’importanza del nuovo rapporto Stato-Chiesa a quarant’anni dal concordato

Dobbiamo a Craxi e a Giovanni Paolo II il riconoscimento del valore sociale, pubblico, democratico, liberale della dimensione spirituale. La religiosità infatti, prima di essere legata ad una fede, appartiene in sé ad ogni persona umana, è un diritto naturale, etico ed educativo, di ogni famiglia e comunità

Giovedì scorso, alla prestigiosa sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, si è svolto un convegno consacrato ai rapporti tra Stato e Chiesa a quarant’anni dal Concordato repubblicano voluto e realizzato da Bettino Craxi e da Giovanni Paolo II.

Nei lavori, suddivisi in tre sezioni, sono emersi i temi principali non soltanto relativi al contenuto e al valore di questo storico accordo, ma sulle tappe che hanno portato, dalla Breccia di Porta Pia e dal successivo non expedit, ossia la non partecipazione dei cattolici alla vita politica del Regno d’Italia, fino ai Patti Lateranensi del 1929.

Le approfondite analisi giuridiche e quelle più segnatamente politiche hanno contraddistinto i lavori del mattino specialmente con la spiegazione sia dal punto di vista ecclesiastico, Alberto Melloni, e sia da quello politico italiano, Agostino Giovagnoli, delle ragioni di un lasso di tempo così ampio che ha separato l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana nel 1948 e la revisione concordataria del 1984.

Nel panel pomeridiano è stata affrontata dal punto di vista filosofico e attraverso le testimonianze di alcuni rilevanti protagonisti il senso degli accordi di Palazzo Madama, dal lato teorico, Benedetto Ippolito, da quello strettamente politico, Gennaro Acquaviva, a quello giuridico e ecclesiale, Francesco Margiotta Broglio e Giuseppe Baturi, e fiscale, Giulio Tremonti.

Le conclusioni sono state oggetto della tavola rotonda istituzionale conclusiva grazie alla presenza del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, di Antonio Tajani, ministro degli Esteri, Alberto Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonella Sciarrone Alibrandi, giudice della Corte Costituzionale, e Stefania Craxi, presidente della Commissione Esteri e Difesa del Senato.

Quello che è affiorato, in definitiva, dai prestigiosi interventi è un passaggio dalla contesa Stato-Chiesa prima del 1929, alla determinazione di un rapporto rigido ed esclusivo tra Stato e Chiesa dopo i Patti Lateranensi, per giungere, a seguito di una lunga incubazione, ad un nuovo criterio complessivo di relazioni, fondate sul pluralismo e sul reciproco rispetto tra religione e politica.

Questo è ben espresso nell’Articolo 1 dell’Accordo del 1984: “La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.

La centralità dell’uomo, teorizzata dal personalismo filosofico di Giovanni Paolo II, si è incontrata così con la laica spiritualità di Bettino Craxi, permettendo un balzo in avanti epocale. Il passaggio dallo Stato libero alla libertà religiosa si è ultimato, attuato attraverso una nuova idea di laicità, la quale chiudeva in modo definitivo la logica del conflitto secolare tra le due sovranità, una spirituale e l’altra materiale, escludendo però l’assunzione laicista di un fondamento meramente neutrale, ideologico o indifferente dello Stato nei riguardi del fenomeno religioso, come avvenuto, ad esempio, nella definizione giacobina della République.

Craxi dava così allo Stato italiano una base politica per tutelare l’indipendenza del cittadino nella sua libertà, la libertà della Chiesa Cattolica nella sua missione apostolica, ma anche lo spazio di libertà indispensabile per ogni confessione religiosa cristiana e non cristiana, presente e futura.

Noi dobbiamo a Craxi e a Giovanni Paolo II il riconoscimento del valore sociale, pubblico, democratico, liberale della dimensione spirituale. La religiosità infatti, avrebbe plaudito Tommaso d’Aquino, prima di essere legata ad una fede, appartiene in sé ad ogni persona umana, è un diritto naturale, etico ed educativo, di ogni famiglia e comunità: perciò lo Stato ha il dovere non di farsene interprete, ma di tutelarne e garantirne pubblicamente e laicamente la libertà pratica ed effettiva di esercizio, nel quadro generale del bene comune, il quale è essenzialmente unitario nella nazione ed è oggettivamente plurale nella società.


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