L’esperto del Cepa ricostruisce lo scenario di un’eventuale invasione russa dei Paesi Baltici, dalle fasi di preparazione fino al negoziato conclusivo. Sottolineando le criticità che permetterebbero il suo successo
Nelle settimane dell’inverno tra il 2023 e il 2024 sono stati molteplici gli allarmi lanciati dalle intelligence del Vecchio Continente riguardanti l’eventualità di una nuova operazione militare offensiva russa nei prossimi anni, stavolta a danno di Paesi membri sia dell’Unione europea che dell’Alleanza Atlantica. Una prospettiva che, per quanto oggi possa sembrare remota, la comunità strategica occidentale non può assolutamente tenere fuori considerazione. Ma come si svolgerebbe esattamente l’eventuale invasione russa dell’Europa? Jan Kallberg, non-resident Senior Fellow presso il Transatlantic Defense and Security Program del Center for European Policy Analysis, ha provato a rispondere a questa domanda, realizzando un report dove descrive, sulla base dei documenti dell’intelligence tedesca oggetto di un recente leak, gli sviluppi dell’offensiva di Mosca passo dopo passo.
La fase di preparazione vedrebbe il Cremlino impegnato nella mobilitazione di 200.000 nuovi coscritti nel mese di febbraio, così da aumentare la pressione sull’Ucraina; con i riflettori puntati a Sud, l’esercito russo inizierebbe un silenzioso rafforzamento ai confini con la Polonia e la Lituania, nei pressi del Corridoio di Suwalki. Intanto, lo Stato maggiore a Mosca stilerebbe un dettagliato piano d’azione da presentare al Presidente Putin (a cui Kallberg, ispirandosi storicamente al piano d’invasione sovietica del periodo della Guerra Fredda “Setet giorni al Reno”, da il titolo “Piano Rosso – Tre giorni a Paldiski”, riferendosi a una località dell’Estonia a ovest di Tallin).
Questo piano si basa su cinque assunzioni fondamentali. La prima è che le forze armate europee versino nello stesso stato di preparazione di cui godono adesso, che nonostante i vari proclami politici continua ad essere pericolosamente basso in termini di presenza sul campo, di rapidità di rinforzi e di scorte di materiale militare. Secondo le stime di Kallberg, un primo sostanziale contingente europeo (nello specifico uno polacco) non sarebbe in grado di arrivare lungo al linea del fronte prima di settantadue ore, mentre per gli altri si dovrebbe aspettare quasi due settimane. La seconda è l’impreparazione occidentale ad un uso (anche non diretto) dell’arma nucleare da parte di Mosca: anche detonazioni dimostrative, o realizzate soltanto per avere effetti non cinetici, andrebbero a impattare profondamente sui Paesi della Nato in termini politici, sociali e finanziari.
La terza assunzione riguarda l’incapacità delle forze Nato già presenti nell’area come deterrente (secondo il principio del tripwire) di resistere “attivamente” alle forze d’invasione soverchianti per numeri e mezzi, così da aggirarle durante le manovre ed evitare scontri diretti con loro. In questa categoria rientrano anche le forze finlandesi, che non penetrerebbero in territorio russo causa rischio di risposta nucleare. La quarta riguarda la capacità di sorpresa: anziché un massiccio afflusso di risorse, come quanto avvenuto prima dell’inizio dell’offensiva in Ucraina, si impiegheranno soltanto quelle già fatte arrivare in loco in modo piuttosto discreto nelle settimane precedenti. Infine, l’ultima riguarda la guerra ibrida: sia prima dell’inizio del conflitto, con il compito di creare confusione e rendere più difficile una corretta percezione delle operazioni; sia dopo, con psyops operazioni di propaganda realizzate con migliaia di falsi account sui social media con nomi anglofoni, che spiegheranno come il problema sia ancora una volta l’aggressione della Nato. Con annesse manifestazioni per la pace in tutte le principali città occidentali.
Su questi pilastri si basa il “Piano Rosso”. Che militarmente seguirebbe questa tabella di marcia:
Il primo giorno la guerra inizierebbe con un intenso sbarramento di missili su obiettivi ad alto valore, mentre colonne di corazzati, elicotteri d’attacco e artiglieria semovente si spingebbero attraverso l’Estonia settentrionale fino a Paldiski. Contemporaneamente, un battaglione di fanteria navale sbarcherebbe nel porto di Tallinn.
Dalla Bielorussia, una seconda punta di lancia si spingerebbe a nord-ovest verso Kaliningrad, attraversando la Lituania; chiuso il Suwalki Gap, questo contingente si dirigerebbe a sud per affrontare le forze Nato provenienti dalla Polonia, con le forze di retroguardia lasciate ad eliminare la resistenza lituana. La Lettonia, isolata geograficamente e con un esercito senza i mezzi sufficienti per attaccare, viene di fatto rimossa dal tabellone.
Un piccolo ordigno nucleare verrebbe fatto esplodere ad alta quota sopra le acque internazionali, rilasciando un significativo impulso elettromagnetico capace di mettere fuori uso le comunicazioni e i sistemi informatici di Gotland, i cui punti strategici (città e campo d’aviazione) verrebbero occupati da un’unità aviotrasportata.
Il secondo giorno sarebbe dedicato alla messa in sicurezza degli obiettivi occupati e al rafforzamento delle forze di prima linea. Quando il terzo giorno l’esercito polacco arriverebbe sulla linea del fronte principale, il Cremlino informerebbe la Nato che qualsiasi tentativo di rioccupare i “nuovi oblast’ baltici della Federazione” scatenerebbe una risposta nucleare.
Dopo aver avvertito Washington – evitando così di scatenare una risposta nucleare statunitense – le Forze missilistiche strategiche russe lancerebbero missili che esplodono sul proprio territorio artico. Al costo di pochissime vittime (russe), Il cremlino sottolineerebbe fino a che è disposto a spingersi. Nel frattempo, l’intelligence occidentale avvertirebbe di un insolitamente alto numero di sottomarini russi armati con missili strategici.
Sul piano diplomatico, il Cremlino si porrebbe verso l’Occidente come partner ragionevole e desideroso di ripristinare relazioni fraterne, da pari a pari. Che id fatto significherebbe la fine dell’ordine globale occidentale che ha retto il mondo negli ultimi trent’anni. Mosca proporrebbe, in un contesto di difficile negoziazione, un accordo per la pace: la Russia si prenderebbe gli Stati baltici, un corridoio terrestre attraverso i resti di uno Stato ucraino diviso e la Moldavia. Restituendo Gotland alla Svezia come segno di buona volontà.
Uno scenario fantapolitico, costruito sulla carta. E, come disse più di un secolo fa il generale tedesco Helmuth Von Moltke, “nessun piano sopravvive al contatto con il nemico”. Ma le dinamiche presentate da Kallberg sono tutt’altro che irrealistiche, e rappresentano spunti importantissimi per chi, in Europa e fuori, deve gestire la complicata situazione dell’Eastern Flank.