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Ma quale resilienza. Il report che smaschera il bluff dell’economia russa

Il Fondo monetario internazionale ha da poco aggiornato al rialzo le stime di crescita della Federazione. Ma i dati raccontano solo una parte della verità. La spesa militare ha dopato l’economia in questi due anni di guerra e anche il petrolio sta tradendo il Cremlino. Ecco cosa dice il Forum delle istituzioni monetarie

A prendere per buone le ultime stime del Fondo monetario internazionale, la Russia sarebbe sostanzialmente immune dalle sanzioni imposte dall’Occidente. Stando ai calcoli di Washington, il Pil russo è atteso crescere quest’anno del più 2,6%, ovvero 1,5 punti percentuali in più rispetto alle previsioni precedenti. Nel 2025 la crescita dovrebbe attestarsi al più 1,1% (+0,1 punti). Va bene, anzi no. Non è tutto oro quel che luccica, almeno a sentire il Forum delle istituzioni monetarie mondiali, l’Omfif, che in un report curato da Mark Sobel, analista del Cepa e presidente dell’Omfif, racconta un’altra verità.

Quella che per esempio vede nel futuro dell’economia russa un lento e inesorabile degrado. Dunque, “parlare di resilienza economica della Russia è fuorviante, e ci sono problemi profondamente radicati che continueranno ad affliggere Mosca”, spiega l’Omfif. “La Russia sta mascherando un processo di significativo degrado economico che continuerà anche in futuro e marginalizzerà ulteriormente la sua impronta globale”. Insomma, bisogna andarci cauti con l’affermare che la Federazione è resistente e resiliente all’urto delle sanzioni.

Certamente, “la robusta spesa militare della Russia è stata finora un fattore chiave nel sostenere la crescita economica. Ma uno sguardo più approfondito alle finanze del Cremlino mostra un quadro molto più cupo: la quota globale della Russia nel potere d’acquisto mondiale è scesa sotto il 2%, rispetto al 4% circa prima della crisi finanziaria del 2008. Nel frattempo, ci sono prove che le entrate energetiche, una delle principali fonti di reddito, stanno crollando . Il greggio degli Urali, il prodotto petrolifero di punta della Russia, viene ora scambiato con uno sconto significativo rispetto al benchmark globale: a circa 68 dollari al barile, mentre il Brent è stato scambiato a circa 83 dollari al barile”.

Non è finita. “I Paesi sembrano anche meno disposti ad acquistare greggio russo da quando l’Occidente ha deciso di imporre restrizioni commerciali alla Russia. Oltre la metà delle petroliere russe sanzionate sono ora inattive in mare. Ciò è complicato da una serie di altri problemi che l’economia russa sta affrontando, come l’inflazione vertiginosa, un rublo debole e una carenza record di lavoratori. Il Paese, ad esempio, sta perdendo un’enorme quantità di capitale umano”.

Conclusione, per nulla scontata. “Un esame superficiale degli attuali dati potrebbe suggerire che l’economia è resiliente di fronte ai costi della Russia che comporta la sua spietata invasione. Questa visione può contenere elementi di validità nel breve termine. Ma trascura le debolezze e le realtà: un isolamento e un degrado economico significativamente maggiori sono da mettere nel conto”.

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