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Non solo aiuti. L’Europa torna a puntare gli asset di Putin

Nel giorno in cui a Bruxelles tutti e 27 i Paesi trovano l’intesa su 50 miliardi di aiuti al Paese guidato da Zelensky, si sblocca anche un’altra partita. Quella per mettere a reddito i profitti generati dai beni strappati alla Banca centrale russa. Una manovra a tenaglia che può rassicurare Kyiv

L’Europa serra i ranghi sugli aiuti all’Ucraina. E lo fa su due fronti ben distinti. Da una parte c’è il bilancio della Commissione europea, dalle cui pieghe far saltare fuori nuove risorse per lo sforzo bellico di Kyiv. Dall’altro ci sono i beni sequestrati alla Banca centrale russa, circa 300 miliardi di dollari da far fruttare nel migliore dei modi. Una manovra a tenaglia con cui dare carburante al Paese invaso dalla Russia, in un momento di stallo del conflitto.

Partendo proprio dal bilancio, il Consiglio europeo straordinario ha partorito un accordo non scontato. Tutti i 27 leader dei Paesi membri riuniti a Bruxelles hanno concordato un pacchetto di sostegno aggiuntivo 50 miliardi di euro per l’Ucraina all’interno del bilancio dell’Ue. “Ciò garantisce finanziamenti costanti, a lungo termine e prevedibili per l’Ucraina. L’Ue sta assumendo la leadership e la responsabilità nel sostenere l’Ucraina, sappiamo qual è la posta in gioco”, ha commentato su X il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, dando la cifra del confronto tra i leader.

Prima del Consiglio, cominciato in ritardo di oltre un’ora, si era tenuto un incontro tra Michel, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il premier ungherese Viktor Orban per convincere quest’ultimo a dare il via libera all’intesa sul bilancio Ue. Un vertice ristretto e anche informale che si è rivelato decisivo. Attenzione però. Perché secondo fonti del Consiglio europeo, l’accordo sull’aiuto macro-finanziario da 50 miliardi di euro per l’Ucraina, contenuto nella revisione del bilancio pluriennale dell’Ue (2021-2027), è stato conseguito in base a due clausole che sono state aggiunte per venire parzialmente incontro alle richieste dell’Ungheria.

La prima consisterebbe nell’accettazione da parte del Consiglio europeo, di una discussione annuale sull’attuazione del pacchetto di sostegno per l’Ucraina (come chiedeva Budapest), ma senza un nuovo voto di approvazione (come avrebbe voluto l’Ungheria). Inoltre, la Commissione sarebbe invitata a presentare entro due anni ai capi di Stato e di governo una nuova proposta di revisione del bilancio pluriennale, se necessaria, che presuppone invece un nuovo voto unanime da parte degli Stati membri.

La seconda clausola riguarderebbe il meccanismo di condizionalità dello stato di diritto, un regolamento che blocca i finanziamenti per certi programmi comunitari quando non sono garantite, nel paese interessato, l’indipendenza della magistratura e altre condizioni necessarie ad assicurare la buona gestione dei fondi Ue. Il testo conterrebbe un richiamo alle conclusioni del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020 in cui si sottolineava che “l’applicazione del meccanismo di condizionalità a norma del regolamento sarà obiettiva, equa, imparziale e basata sui fatti, garantendo l’equità dei procedimenti, la non discriminazione e la parità di trattamento degli Stati membri”.

Poi c’è la seconda gamba del nuovo slancio europeo per l’Ucraina. E cioè l’intesa di massima tra le diplomazie dei Paesi membri sulla messa a reddito degli asset sottratti alla Russia, affinché i proventi vengano utilizzati per la ricostruzione del Paese. Appare difficile ormai una monetizzazione su larga scala dei beni russi, ma sui profitti da essi generati si può fare qualcosa. L’idea sarebbe quella di reinvestire i profitti, generando risorse certamente minori, ma decisamente più sicure di una vendita dell’intero stock posto sotto sequestro. Ora che l’accordo di base c’è, toccherà al Parlamento europeo sbloccare definitivamente la partita.


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