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Sgarbi deve fare Sgarbi. E basta. Il commento di Arditti

In fondo chi è Vittorio Sgarbi? Un bastian contrario di destra-centro, un maestro dell’invettiva e della polemica, un meraviglioso seminatore di idee e racconti che sanno di bellezza e cultura. Come può tutto questo richiudersi dentro la parola sottosegretario, talmente orribile da rendersi per sua natura respingente? Semplicemente non può ed un cultore del bello dovrebbe capirlo al volo

La baruffa intorno alle mezze dimissioni di Vittorio Sgarbi (peraltro prontamente accolte da Giorgia Meloni, vorrà pur dire qualcosa) è sulla bocca di tutti: lo si può ben capire, perché il personaggio è al centro della scena non da ora.

A me però non interessano affatto gli aspetti giudiziari né quelli legati a decisioni di autorità indipendenti. Si farà quel che si dovrà fare in quelle sedi, ma rifiuto l’idea che tutta la vita pubblica nazionale debba essere uno slalom tra norme e sentenze.

Voglio invece parlare d’altro, avendo al centro il protagonista di questa storia, cioè Vittorio Sgarbi medesimo. Al quale rivolgo pubblicamente una domanda, avendo cura di fornire subito dopo la mia personalissima risposta.

La domanda è questa: “Caro Sgarbi (e caro Vittorio) ma cose te ne importa di essere un sottosegretario?”. Ed ecco la mia risposta: essere membro del governo penalizza Sgarbi, lo ingabbia, lo immalinconisce, lo costringe a feroci polemiche che nulla hanno a che vedere con la sua dimensione più autentica.

In fondo chi è Vittorio Sgarbi? Un bastian contrario di destra-centro, un maestro dell’invettiva e della polemica, un meraviglioso seminatore di idee e racconti che sanno di bellezza e cultura.

Come può tutto questo richiudersi dentro la parola sottosegretario, talmente orribile da rendersi per sua natura respingente? Semplicemente non può ed un cultore del bello dovrebbe capirlo al volo.

Invece il nostro Vittorio nazionale c’è cascato due volte, (2001 e 2022) come attratto visceralmente dal palazzo del Collegio Romano (tanto caro al mio maestro Giovanni Spadolini).

Due volte c’è arrivato e due volte, puntualmente, ne è uscito.

Ma perché finisce sempre così? La risposta c’è ed è anche semplice: Vittorio Sgarbi non è possibile incastrarlo in un ruolo come quello, non ci sta dentro nel senso letterale del termine.

E allora perché ci finisce? Resta un mistero.

È una questione di potere? Ne dubito molto, perché tanto ogni ministro che ha Sgarbi come sottosegretario non può che fare ogni sforzo per limitarne il raggio d’azione (come ha fatto Sangiuliano, più che comprensibilmente).

È una questione di status? È una follia metterla in questi termini, perché la carica nulla aggiunge al personaggio (anzi semmai lo mortifica).

È una questione di comodità (scorta e tutto il resto)? Non direi proprio, perché molto verrebbe comunque riservato ad un personaggio così noto ed esposto.

Insomma è bene evidente che Vittorio Sgarbi è molto più interessante come soggetto autonomo che come membro del governo più o meno elegantemente tollerato dai suoi colleghi ministri o sottosegretari.

Se ne faccia un ragione pure lui: il primo a trarre beneficio dall’essere soltanto Vittorio Sgarbi è Vittorio Sgarbi. È il suo destino e dovrebbe piacergli così.

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