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IA, tutti i numeri della corsa mondiale nel rapporto dell’intelligence italiana

Nell’ultimo documento emerge chiaramente quanto l’intelligenza artificiale sia diventata centrale nei piani delle potenze mondiali. Ma il progresso va regolato e gestito, altrimenti le derive sono dietro l’angolo

La corsa all’intelligenza artificiale continua spedita. È quanto emerge dall’ultima Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2023, redatta dall’intelligence, all’interno di cui ampio spazio è stato dato alle nuove tecnologie, entrando nel dettaglio dei singoli Paesi. I numeri parlano piuttosto chiaramente. Stati Uniti e Cina dominano la classifica, sebbene tra le due ci sia uno scarto notevole: se Washington nel 2022 ha investito 47,36 miliardi di dollari, Pechino 13,41. Seguono il Regno Unito con 4,37 miliardi di dollari, Israele (3,24), Corea del Sud (3,10 miliardi) e Germania (2,35). Gli americani hanno puntato maggiormente in estrazione di dati e cloud, sanità, fintech, cybersecurity e protezione dati, un campo quest’ultimo in cui Unione europea e Uk hanno speso poco (0,23 miliardi) mentre spiccano per il loro contributo al settore dei semiconduttori (1,02 miliardi).

Usa, Cina, Gran Bretagna e Israele sono anche i Paesi che hanno creato più aziende tecnologiche. Solo nell’anno di riferimento, il 2022, in America ne sono nate 542, nella terra del Dragone 160, Oltremanica 99 e nello Stato ebraico 73. In coda a questa classifica troviamo invece la Corea del Sud con 22 nuove società, poi Svezia e Olanda con 12. L’Italia è fuori dalle prime quindici posizioni.

In termini di robot installati, invece, spicca la Cina con oltre 268mila, il Giappone con più di 47mila e gli Stati Uniti con 35mila. Il nostro Paese si posiziona quinto, con 14mila robot, mentre le ultime tre in graduatoria sono Singapore, Spagna e Polonia, rispettivamente con 3.500, 3.400 e 3.300.

Per quanto riguarda sempre il nostro Paese, si legge nel rapporto, gli obiettivi prefissati sono il rafforzamento della ricerca di frontiera nell’IA, l’aumento dell’innovazione basata sull’intelligenza artificiale e lo sviluppo della relativa tecnologia, di politiche e servizi basati sull’IA nel settore pubblico, creare e trattenere nuovi talenti in Italia e, da ultimo ma non di certo per importanza, lo sviluppo e l’adozione di un’IA antropocentrica e affidabile.

Quest’ultimo punto è di estrema centralità. Non soltanto perché un’IA a tutela dei diritti umani rappresenta le fondamenta dell’AI Act europeo – che suddivide gli strumenti tecnologici in base al rischio, se basso, limitato, alto e inaccettabile – ma anche perché è l’elemento in testa all’agenda del G7 a guida italiana.

Tutto ruota attorno al concetto di Algoretica coniato da padre Paolo Benanti, scelto dal governo di Giorgia Meloni come presidente della Commissione AI per l’informazione. Per usare le sue stesse parole, si tratta di una sorta di barriera di sicurezza lungo cui far correre l’intelligenza artificiale, per evitare che possa compiere deviazioni pericolose. In sostanza si tratta di governare la tecnologia con uno spirito etico e che risponda ai criteri della giustizia sociale. Che si può raggiungere solo insieme.

Per questo sono di fondamentale importanza anche i dati inseriti nel report che interessano la collaborazione tra sSati. Senza una condivisione del know-how il progresso sarebbe molto più lento, oltre che limitato. È molto significativo dunque che Washington e Pechino abbiano avuto un inter scambio di quasi 10,5 miliardi di dollari – sebbene le black list di entrambe le rivale si siano allungate nell’ultimo anno – e che subito dopo figurino Uk e Cina, con 4,13 miliardi. Stati Uniti e Regno Unito hanno scambiato oltre 4 miliardi, più del doppio del rapporto franco-americano (1,83 miliardi) e superiore anche a quello tra americani e tedeschi (3,42).

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