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Come una manovra finanziaria. I numeri delle banche clandestine cinesi in Italia

L’ultima operazione ad Ancora: in due anni un giro di fatture false da circa 1,7 miliardi di euro con 140 società fantasma ora cancellate. Ma secondo il gip gli importi sono ben maggiori. Quello dell’underground banking è un “gigantesco circuito” che va a braccetto con il narcotraffico ed è in grado di far saltare tutti i controlli immaginati dalla comunità internazionali e dagli Stati, ha spiegato il procuratore nazionale antimafia Melillo

La scorsa settimana l’operazione della Guardia di Finanza “Fast & Clean”, veloce e pulito, ha messo in luce – nuovamente – il dilagare del sistema del cosiddetto underground banking. Ovvero banche occulte al servizio dell’economia illegale che, tramite una struttura organizzata e complessa, sono in grado grado di trasferire e riciclare somme miliardarie e di utilizzare provviste di denaro contante, non tracciato, per la restituzione di parte degli importi dalla stessa bonificati all’impresa destinataria delle fatture false. Alla base ci sono operazioni, anche piccole, di trasferimenti verso la madrepatria di proventi di attività illegali da parte dei membri delle comunità cinesi (come raccontato dalla nostra intelligence nell’ultima relazione annuale).

Ecco i numeri dell’ultimo giro di società cartiere sgominato dalla Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Ancona, che ha eseguito sequestri di conti correnti, auto e immobili per un valore di 350 milioni di euro. In due anni un giro di fatture false da circa 1,7 miliardi di euro, 140 società fantasma, ora cancellate, che le emettevano per permettere a imprenditori italiani e cinesi di ripulire denaro che veniva trasferito all’estero e poi rientrava in contanti tramite corrieri. Un giro di evasione fiscale da circa due miliardi di euro, con 85 indagati per frode fiscale.

Tutto è partito da controlli su un terzista cinese nel settore industriale del tessile a Corinaldo. Poi l’inchiesta si è ampliata e sono state eseguite 30 perquisizioni anche in Lombardia, Veneto, Toscana e Sicilia. Il sistema era consolidato, quello del cosiddetto underground banking. I beneficiari hanno accumulato ingenti risorse: la Finanza ha bloccato 1.569 conti correnti bancari, auto di pregio, contanti, beni e immobili. Sono 34 i sequestri preventivi d’urgenza eseguiti in relazione a 22 milioni di euro di Iva evasi.

Ma lo stesso gip, Carlo Masini, ha osservato nell’ordinanza di sequestro preventivo che, “sebbene ampia”, l’indagine “non è risolutoria del fenomeno criminoso individuato”. Infatti, prosegue, “oltre alle imprese cartiere oggetto d’indagine”, ne esistono “altrettante che possono provocare evasioni assimilabili, come nel caso di specie, ad importi rilevabili in un’intera manovra finanziaria”, ovvero una trentina di miliardi di euro.

Del fenomeno underground banking ha parlato questa settimana Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, intervenendo martedì al convegno “Violenza della rete, violenza nella rete” in occasione della Giornata europea della protezione dei dati personali e parlando di come ogni organizzazioni criminale ormai ha anche un divisione cyber. Quello dell’underground banking è un “gigantesco circuito”, ha spiegato, che è “in grado di far saltare letteralmente tutti i controlli immaginati dalla comunità internazionali e dagli Stati attorno all’idea che il denaro si sposti attraverso il sistema finanziario”. Un sistema che spesso va a braccetto, come dimostrato da alcune inchieste, con il narcotraffico, ha continuato Melillo, “è possibile perché, oltre agli stupefacenti, si traffica denaro” che “non è più semplicemente corrispettivo. È una merce che corre parallelamente agli stupefacenti, senza muoversi”, grazie al fatto che attraverso “una rete di scambi clandestini” si spostano soltanto “i token che servono per assicurare le disponibilità di queste ingenti quantità di denaro”.

Nei mesi scorsi anche Reuters aveva acceso su narcotraffico e reti intermediari cinesi in Italia. L’agenzia aveva raccontato che il governo Meloni avrebbe chiesto alla commissione antimafia di indagare per la prima volta “sull’infiltrazione cinese nella società italiana”. Un’idea lanciata quasi un anno fa da Formiche.net, visto che tra i compiti della commissione c’è quello di “valutare la penetrazione nel territorio nazionale e le modalità operative delle mafie straniere e autoctone tenendo conto delle caratteristiche peculiari di ciascuna struttura mafiosa e individuare, se necessario, specifiche misure legislative e operative di contrasto”.

A oggi, però, non sono state ancora svolte audizioni dedicate con esperti della materia.

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