Dalla riunione dell’Unione africana emerge la volontà di andare oltre al contesto di crisi perenne e affrontare i risultati positivi ottenuti in campi di primaria necessità per le collettività del continente
Nei giorni scorsi l’Unione Aafricana si è riunita ad Addis Abeba per il 37° Summit Ordinario, dove i capi di Stato e di governo dell’organizzazione continentale hanno fatto il punto su una serie complessa di situazioni. L’Africa è un continente in preda a molteplici sfide che richiedono l’intervento dell’Unione (UA). Tra le crisi più urgenti da affrontare già nei prossimi mesi ci sono la riforma delle proprie istituzioni, la transizione democratica in Sudan, i conflitti in Etiopia, la cooperazione regionale intorno alla diga sul Nilo, il terrorismo nella regione dei Grandi Laghi e in Africa centrale, il dialogo politico in Camerun, le rinnovate tensioni tra Somalia e Somaland, la preparazione delle elezioni in Sud Sudan, le destabilizzazioni saheliane, lo stallo istituzionale in Libia e la situazione in Tunisia. Temi specifici che si incastrano in un quadro molto ampio. Le insicurezze alimentari, energetiche, economiche, sanitarie; la crisi della rappresentanza democratica; il cambiamento climatico; l’aumento del terrorismo: sono tutti argomenti che spesso si sovrappongono, creando in Africa un quadro complesso che accompagna l’emergenza dei Paesi del continente nel contesto globale.
Il titolo del summit, “Arts, Culture and Heritage: Levers for Building the Africa We Want”, porta con sé un elemento narrativo centrale: “the Africa we want”. Collettività e leadership africane sono ormai consapevoli di essere arrivate al punto di autodeterminare il proprio futuro e di cercare il proprio posto nel mondo. Per farlo, spingono su un principio di multi-allineamento che tratteggia una visione larga delle dinamiche internazionali e della scelta dei partner — concetto che il presidente della Commissione dell’UA, Moussa Faki, ha espresso anche recentemente durante la conferenza ospitata dal governo italiano al Senato per delineare l’approccio di Roma al continente.
Una fonte africana parla in modo informale del summit di domenica, e sottolinea che si è discusso di questioni relative alla “pace e alla sicurezza, allo sviluppo e alla cooperazione internazionale” in modo “africa-centrico, ossia come gli africani vorrebbero farlo anche con i partner internazionali”. Tra gli eventi più importanti del summit, per quella fonte ci sono stati: l’incontro del Comitato dei capi di stato e di governo sul cambiamento climatico (Cahoscc), che ha esaminato le sfide e le opportunità per l’Africa nella lotta contro il riscaldamento globale; la riunione dell’Alleanza dei leader africani contro la malaria, che ha presentato il rapporto sui progressi dell’Unione nella lotta contro una malattia che in Occidente è debellata da tempo e che in Africa è ancora una piaga quotidiana; il lancio ufficiale della Banca africana di sviluppo (Bad), che ha lo scopo di finanziare i progetti di infrastrutture, energia, agricoltura e industrializzazione in Africa. È un quadro differente rispetto alle priorità che in Occidente vengono individuate come tali. Non perché quei dossier non vengano considerati importanti dagli africani, ma piuttosto emerge una volontà di andare anche oltre, perché problemi come la sicurezza climatica, sanitaria ed economica si legano anche al contesto securitario in senso stretto, diventando leve per lo sviluppo di istanze estremiste.