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L’intelligence diplomacy spiegata dal dipartimento di Stato Usa

“Se la guerra in Iraq ha evidenziato i rischi” di questo strumento, l’invasione russa dell’Ucraina “ne ha mostrato le opportunità”, scrive Holmgren, capo del Bureau of Intelligence and Research a Foggy Bottom, su Foreign Policy

Rivelare in anticipo i piani della Russia “non ha evitato” l’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio di due anni fa, ma “la divulgazione di informazioni da parte dell’intelligence statunitense ha permesso all’Ucraina di difendersi, ha mobilitato alleati e partner a sostegno di Kyiv, ha indebolito la disinformazione russa agli occhi dell’opinione pubblica e ha ripristinato la credibilità dell’intelligence statunitense e degli Stati Uniti agli occhi del mondo”. A scriverlo è Brett M. Holmgren, oggi assistant secretary a capo del Bureau of Intelligence and Research del dipartimento di Stato, una delle 18 organizzazioni che compongono la comunità d’intelligence americana.

Come già evidenziato su queste pagine all’indomani dell’invasione, l’intelligence non è un hard power in grado di fermare gli eserciti. Tuttavia, “se la guerra in Iraq ha evidenziato i rischi della ‘diplomazia dell’intelligence’, la guerra della Russia in Ucraina ne ha mostrato le opportunità”, osserva Holgrem, funzionario dell’intelligence oggi in diplomazia, in un saggio su Foreign Policy che riprende il suo intervento alla Cipher Brief Threat Conference di ottobre. Pochi giorni fa è stato pubblicato su Foreign Affairs un altro saggio che tocca anche questi argomenti, quello di William Burns, ex ambasciatore oggi a capo della Central Intelligence Agency.

Holgrem ricorda un briefing di alto livello del 22 febbraio 2022 in cui era emersa l’imminenza dell’invasione russa. Quello stesso giorno Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri ucraino, era al dipartimento di Stato, a Foggy Bottom. Qualche verifica, poi l’informazione condivisa e infine la telefonata di Kuleba al presidente Volodymyr Zelensky per preparare la nazione alla guerra.

Il dipartimento di Stato definisce la “diplomazia dell’intelligence” come “l’uso dell’intelligence a sostegno delle attività diplomatiche e della diplomazia pubblica per promuovere gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti, informare i partner, costruire alleanze, facilitare la cooperazione, promuovere la convergenza di approcci e opinioni e verificare i trattati”. La cosiddetta ”declassificazione strategica” è stata già utilizzata in passato: nell’ottobre 1962, ad esempio, gli Stati Uniti presentarono al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite informazioni declassificate che rivelavano la presenza di missili offensivi sovietici a Cuba; nell’aprile 2017, per raccogliere consensi per gli attacchi contro la Siria, la Casa Bianca ha declassificato informazioni che descrivevano l’uso di armi chimiche da parte del regime siriano contro il suo stesso popolo. Ma è stata anche fatta con informazioni inesatte finendo per minare la credibilità americana, come nel caso del 2003 delle armi di distruzione di massa del leader iracheno Saddam Hussein.

Gli Stati Uniti hanno “sempre condiviso” le informazioni sulle minacce con i partner e l’intelligence “è stata a lungo una carta preziosa nelle mani dei diplomatici statunitensi”, scrive Holgrem. Tuttavia, l’invasione russa dell’Ucraina ha rappresentato una “notevole evoluzione – in termini di scala, portata e velocità – del supporto dell’intelligence alla diplomazia statunitense”. Qualche esempio citato dal funzionario: le informazioni di intelligence hanno permesso a Burns “di avvertire il presidente russo Vladimir Putin nel novembre 2021 che gli Stati Uniti erano a conoscenza delle intenzioni di Mosca in Ucraina e che avrebbero risposto con decisione”; “hanno messo in guardia il popolo ucraino e il mondo intero dai piani della Russia” come sulle false flag per giustificare l’aggressione.

Ma soprattutto, ha segnato un punto di svolta nella credibilità globale della comunità di intelligence degli Stati Uniti”, coerente con il nuovo approccio indicato dal segretario Antony Blinken con il superamento dell’ordine post Guerra fredda verso una nuova era di competizione strategica in cui gli Stati Uniti hanno bisogno di rinsaldare le partnership.

L’intelligence, dunque, è sempre più parte integrante della diplomazia americana, sin dalla formazione dei nuovi diplomatici. Perché, conclude Holmgren, in definitiva, “la ‘diplomazia dell’intelligence’ è sempre più vitale per sostenere e rendere possibile la missione del dipartimento di Stato, l’agenzia principale responsabile della politica estera degli Stati Uniti. Ma deve essere sfruttata in modo coerente con la sicurezza nazionale e i valori degli Stati Uniti. In assenza di barriere, c’è il rischio che la ‘diplomazia dell’intelligence’ possa essere usata in modo improprio o sbagliato”.



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