Conversazione con il direttore della Nato Defense College Foundation: “Provocare adesso la Nato sarebbe assai controproducente, mobilitandola di più. Ritengo che Putin trovi molto più utile aspettare l’arrivo di Trump, col rischio non peregrino di una pace-lampo sulla testa di Kyiv”
“L’attentato del Crocus apre un’altra crepa e dovrebbe indurre tutti ad una serena riflessione”, dice a Formiche.net Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, secondo cui siamo all’isteria da guerra, e al momento è solo una tempesta in un bicchiere d’acqua e non crede ad una provocazione putiniana verso la Nato.
Dopo l’attentato a Mosca e in attesa delle elezioni in Ue e in Usa, cosa rischia l’area europea più vicina al confine orientale, quindi alla guerra?
Al momento non rischia di più di quanto già non sia a rischio, sposterei l’attenzione su altro: ovvero se un attentato strano come quello di Mosca (come nella carriera di Putin ci sono stati), possa essere il pretesto per inasprire la guerra. Onestamente non c’è bisogno, perché il successo elettorale è già adeguato per il governo e perché l’idea che bisogna andare avanti sino alla fine è passata in Russia. Ancora non sappiamo cosa hanno detto i tagiki arrestati e alla fine sapremo quello che vogliono farci sapere. Noto però che nell’immediatezza dell’attentato l’unica voce interessante è stata quella del presidente serbo Vucic che ha detto: non è interessante sapere da dove vengono gli attentatori (Asia Centrale, Ucraina ecc.), ma chi ha organizzato l’attentato.
In che senso?
Potrebbe indicare che questo è un attentato interno alla Russia, creato da Putin come è successo altre volte per unire ancor di più la popolazione? Ma era già unita. O per puntare il dito contro gli ucraini? Ma gli ucraini fanno dei sabotaggi e non degli attentati contro la popolazione civile. Dunque le zone di confine con l’Ucraina non rischiano più di quanto non hanno rischiato in questi due anni e mezzo. Qualcuno dice che questo è un messaggio molto sofisticato, per dire a Putin: “Guarda che sei vulnerabile anche tu, perché non smetti di continuare la guerra?”. Certamente i combattenti jihadisti ebbero diversi aiuti sottobanco per rovesciare il regime di Assad. E uno dei motivi di ostilità dello Stato Islamico nel Khorasan contro Putin è proprio il suo ruolo in Siria e la sua voglia invece di aprire ai talebani per avere un altro passaggio sicuro in Asia centrale. Questi sono motivi concreti per cui si può fare un attacco terroristico.
Quali effetti vede nell’immediato?
Putin ha retto l’urto delle sanzioni più serie, mentre altre sono inutili. Adesso l’India si rifiuta di accettare navi sotto bandiera russa con il petrolio, ma rischia di essere una forma. Tuttavia, nonostante Putin abbia tenuto la popolazione calma, le crepe sotto il muro ci sono.
Possono diventare crepe serie?
Questo nessuno lo sa, nemmeno Putin sino in fondo. Certo, quando i servizi americani hanno avvisato le controparti russe di possibili attentati, lui ha dichiarato che gli sembrava un velato ricatto. È un modo molto sovietico di leggere le cose, ma è anche un segno di fragilità. Dubito che i suoi servizi abbiano ignorato questi avvertimenti, tanto più che avevano sventato l’attacco ad una sinagoga; ma come sappiamo bene tutto non si può proteggere o prevenire.
I francesi oggi aumentano l’allerta, mentre altri Paesi no. Come mai?
La Francia ha deciso di arrivare all’allerta massima perché: mancano quattro mesi alle Olimpiadi, sono già stati sventati negli scorsi mesi due progetti d’attentato e sono convinti che l’attacco al Crocus sia effettivamente dello Stato Islamico.
Mosca può usare la strage per saggiare la capacità di risposta della stessa Nato?
Putin ha fatto tanti errori, ma non credo ne farà uno simile. Siamo all’isteria da guerra: al momento è una tempesta in un bicchiere d’acqua e non capisco perché ci dovrebbe essere una provocazione russa verso Paesi Nato.
L’idea che, attribuendo l’attentato agli ucraini e macchiando la loro reputazione come “terroristi”, possa indebolire il sostegno dei Paesi Ue non è questione di spionaggio “comunicativo”, ma è un problema di normale comunicazione che nasconde un problema più vero, cioè i limiti concreti dell’aiuto a prescindere. Il rafforzamento del fronte est con mezzi Nato è nell’ordine delle cose, lo fanno anche i nostri Typhoon, e fin qui siamo in un copione da guerra fredda e, finché è così, va bene.
Capisco pure che certi Paesi siano sensibilissimi per motivi storici, ma provocare adesso la Nato sarebbe assai controproducente, mobilitandola di più. Ritengo che Putin trovi molto più utile aspettare l’arrivo di Trump, col rischio non peregrino di una pace-lampo sulla testa di Kyiv. Come ho già detto, gli ucraini rischiano una combinazione tra Monaco e Kabul. Bisogna considerare se fermare le ostilità prima, offra più margine di negoziato, ma bisogna verificarlo almeno su canali paralleli. C’è bisogno per Kyiv di ricostruire un’economia in bancarotta e riorganizzare le forze armate, mentre l’Europa in un’ipotetica difesa alla pari contro un attacco russo è per ora sotto di un milione e 400mila effettivi ed ha una congerie logisticamente ingestibile di armamenti.