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Il 27 marzo ’94 Berlusconi aveva già i suoi nemici. Il racconto di Minuz

L’antiberlusconismo nacque ancor prima della discesa in campo del fondatore di Forza Italia. Berlusconi non piacque agli intellettuali: contro di lui ci fu un’avversione di carattere morale ed estetico anche già quando era “solo” un imprenditore. Ma fu il pioniere della comunicazione politica moderna. Conversazione con il docente del docente della Sapienza Andrea Minuz

Veniva dal futuro. E quel 27 marzo di trent’anni fa apparve proprio così. Il capitano di una ciurma sulla quale nessuno dell’intellighenzia figlia della Prima Repubblica uscita con le ossa rotte dalla burrascosa Mani Pulite avrebbe scommesso una lira. Con il caleidoscopio al contrario, potremmo dire che invece il capitano di quel galeone cambiò il modo di concepire la politica. Ma soprattutto diede avvio a una svolta radicale nella comunicazione politica. Silvio Berlusconi, ancor prima di giocare da primo attore nell’agone pubblico, generò il fenomeno dell’anti-berlusconismo. Come imprenditore, come persona. Ed è su questo fenomeno che si concentra il libro del docente della Sapienza e collaboratore del Foglio Andrea Minuz, “C’eravamo tanto odiati. Breve storia dell’antiberlusconismo” (il Mulino).

Cosa l’ha spinta a scrivere un libro “contro”?

In realtà non è un libro “contro”, ma un volume che storicizza di fatto un fenomeno che ha caratterizzato il dibattito pubblico degli ultimi trent’anni. Nasce come esigenza di fare una sorta di “punto” su quello che è accaduto. Ora che Berlusconi è morto, questo volume diventa in qualche modo un libro di storia.

Come nasce l’antiberlusconismo?

Prima della discesa in campo di Berlusconi in politica. La sinistra era uscita di fatto indenne dal terremoto di Mani Pulite nel 1994. E si preparava, di fatto, a governare il Paese accomodandosi sul tappeto rosso (è il caso di dirlo). La scelta del Cavaliere sparigliò le carte. Ma, ripeto, l’antiberlusconismo è nato prima. Berlusconi era già un imprenditore affermato: ma anche in questo senso non era apprezzato. Non aveva mai raccolto il favore degli intellettuali. Verso di lui ci fu un rifiuto prima di tutto di carattere morale ed estetico, prima ancora che politico. D’altra parte, rappresentò davvero una rottura col passato.

L’antiberlusconismo sopravvive al fondatore di Forza Italia?

In qualche modo sì. L’odio politico verso il Cavaliere si tradusse poi nell’odio politico verso Matteo Renzi. L’anti-renzismo. Ma terminata la parabola renziana, è rimasto comunque un sentimento di profonda avversione verso Berlusconi. Fu un personaggio politicamente divisivo e per certi versi un precursore del dibattito senza posizioni intermedie che si consuma amplificato sui social al giorno d’oggi. O amore o odio.

Le armi degli antiberlusconiani hanno funzionato?

Tralasciando l’aspetto strettamente legato alla dimensione giudiziaria, in realtà le armi degli antiberlusconiani sono state sbagliate. Errori di valutazione, spesso da sinistra, hanno portato al più grande errore dell’opposizione a Silvio Berlusconi: la sottovalutazione del fenomeno.

È stato più volte delegittimato. 

Sì, ma la delegittimazione non ha portato a molto. Così come non ha portato a molto la narrazione apocalittica che si è costruita attorno a Berlusconi. Annunciare continuamente la fine di tutto, ogni qualvolta il Cavaliere vinceva le elezioni è stato uno sbaglio enorme.

Chi è stato l’acerrimo nemico di Berlusconi per eccellenza, sul piano intellettuale?

Marco Travaglio emerge, cronologicamente, più tardi rispetto al 1994. Direi che il più feroce antagonista fu Antonio Tabucchi. Rileggendo ciò che scriveva – e che all’epoca era piuttosto in voga – potrebbe dire che non avrebbe parlato così neanche di Stalin.

La crescita di Forza Italia è una reazione all’antiberlusconismo, dopo la scomparsa del fondatore?

Sono convinto che Forza Italia saprà ancora sorprenderci. Ha saputo rigenerarsi e sta catalizzando il voto moderato che fatica a trovare una collocazione alternativa. Penso che il partito abbia ampi margini di crescita. Deve riuscire a completare la trasformazione di se stesso, passando da partito di Berlusconi a partito fondato da Berlusconi ma autonomo rispetto al leader.

Cosa resta di quel 27 marzo ’94?

Lo scenario è profondamente differente rispetto ad allora. Resta però l’idea di aver fatto tutto ciò che prima, in politica, non è mai stato fatto. Ciò che fece Berlusconi, da pioniere, divenne poi la sintassi di base della politica moderna.

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