Il riavvicinamento franco-tedesco è fondamentale per mostrarsi uniti sul fronte ucraino accanto a Kiev. L’Italia deve svolgere un ruolo strategico, ma non basta condannare la Russia. Bisogna che l’Ue si faccia promotrice di un’azione di pace in Medio Oriente. E al campo largo, con il nostro sistema elettorale, non c’è alternativa. Conversazione con l’ex presidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella
“Il riavvicinamento dell’asse franco-tedesco è la base dell’Ue. E l’Italia deve giocare un ruolo strategico in questo senso. L’unità accanto a Kiev è fondamentale: sennò è tutto perduto”. È il commento dell’ex vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella, a Formiche.net, a margine del vertice tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro polacco Donald Tusk.
Presidente Pittella, che significato assume in un momento come questo il summit di Berlino?
Mi pare un’operazione di assoluto buonsenso, che coglie l’esigenza di rafforzare un asse portante dell’intera Unione. Se di fronte a conflitti così importanti, l’Europa si presenta divisa, in particolare tra i maggiori player, è la fine di tutto. Significa mettere a rischio la resistenza ucraina.
Cosa intende dire quando parla di ruolo strategico dell’Italia in questo senso?
L’Italia deve perseguire la politica estera sull’Ucraina che il governo Meloni ha portato avanti fin da subito. Mi immagino il ruolo dell’Italia come elemento positivo e di rafforzamento dell’asse franco-tedesco. Ma il fronte comune sull’Ucraina non è sufficiente.
Immagino si riferisca alla polveriera mediorientale.
Esattamente. Non è immaginare un’Unione europea inerte di fronte a una guerra come quella che si sta consumando in Medio Oriente. E non è sufficiente che Bruxelles assuma una posizione esclusivamente difensiva. Occorre fare di più e non lasciare che i mediatori di quella situazione così delicata siano il Qatar o Erdogan. È inaccettabile: l’Ue deve battere un colpo e farsi promotrice diretta di un’azione di promozione della pace.
Incideranno queste dinamiche sulla campagna elettorale di primavera?
Temo in misura circoscritta rispetto alla reale portata dei fenomeni. Il dibattito politico, anche per le Europee, è caratterizzato per lo più da temi di basso cabotaggio. Molto provincialismo e poca sostanza. Magari ci sarà qualche elettore che cercherà nei programmi elettorali proposte dei partiti e dei gruppi in questo senso. Torno a dire però che sarà molto poco dibattuto come tema quello della politica estera. Ed è un errore madornale.
Su quali punti si dovrebbe incardinare la nuova politica estera europea?
La prima, in assoluto, è quella di superare la regola dell’unanimità per le votazioni al Consiglio Europeo. Da lì si può cominciare, su basi diverse, a ragionare finalmente di politica estera europea comune.
Arriviamo all’Italia. Dopo il risultato abruzzese, circa un elettore dem su tre (scrive Pagnoncelli sul Corriere stamattina), ritiene conclusa l’esperienza del campo largo. Lei come la vede?
Il nostro è un sistema elettorale che, necessariamente, costringe a governi di coalizione. Non abbiamo un bipartitismo come accade negli Stati Uniti, qui le dinamiche sono molto diverse e complesse. Perciò si è costretti a creare coalizioni con componenti talvolta diverse tra loro ma che devono in qualche modo stare assieme. Sia nel centrodestra che nel centrosinistra ci sono divisioni. Il punto è che il centrodestra trova sempre una quadra per governare, mentre il centrosinistra è più litigioso. Benché io ritenga che l’unica soluzione possibile sia quella di un campo largo che comprenda da Azione al Movimento 5 Stelle.
Cosa ha funzionato in Sardegna e cosa no in Abruzzo?
In Sardegna hanno inciso il voto disgiunto, una candidatura sbagliata del centrodestra e una buona candidatura del campo largo: Alessandra Todde. In Abruzzo, per il Pd, secondo me è stato un buon risultato. Fino a qualche tempo fa lo scarto presunto sarebbe stato molto più alto. Mentre ora si è ridotto molto. Anche questo è un dato politico interessante, fermo rimanendo che ogni regione ha dinamiche molto particolari legate al territorio.