La convergenza trovata sul prelievo dei profitti generati dai beni sequestrati a Mosca non era scontata. Ma alla fine la spallata è riuscita e ora Zelensky può contare su tre miliardi all’anno di aiuti per munizioni e armi. Mentre sugli eurobond per finanziare la difesa comunitaria la strada è ancora lunga
Finora erano state solo parole, ora è stato scritto nero su bianco: gli asset sequestrati alla Russia e detenuti in Europa andranno a finanziare la resistenza ucraina all’invasione russa. Sono bastate poco meno di 24 ore al Consiglio europeo riunito a Bruxelles per trovare la quadra sul prelievo di 3 miliardi di profitti generati dai 200 miliardi di beni della Banca centrale russa e messi sotto chiave (si punta a racimolare 15 miliardi in tre anni) dalla Commissione europea, in risposta alla guerra scatenata dal Cremlino contro Kyiv.
Nelle intenzioni dei Paesi europei (è arrivato, come da previsioni, anche il sì per nulla scontato dell’Ungheria), l’accordo raggiunto dai 27 per utilizzare i proventi provenienti dagli asset russi congelati potrà consentire di avere a disposizione per quest’anno tre miliardi di euro da spendere per l’acquisito di equipaggiamenti militari da fornire a Kiev. Il meccanismo è quello elaborato dal capo della diplomazia comunitaria, Josep Borrell, che con la sua squadra ha studiato la strategia legale per evitare ritorsioni e convincere il Consiglio europeo. I primi pagamenti a Kyiv potrebbero avvenire già a luglio e si aggiungerebbero ai 4,5 miliardi di euro dati da Bruxelles questa settimana all’interno del suo programma di aiuti approvati nell’ultimo Consiglio europeo.
L’obiettivo è quello di arrivare fino a tre miliardi di euro all’anno per un totale di quindici miliardi di euro fino al 2027. Il 90% di questi profitti sarebbe utilizzato attraverso il fondo European Peace Facility per acquistare gli aiuti militari all’esercito ucraino, mentre il resto verrebbe destinato alla ricostruzione del Paese. Dunque, all’orizzonte della Commissione c’è la volontà di prelevare quasi la totalità degli utili netti risultanti dall’immobilizzazione dei beni della Banca centrale russa e metterli al servizio del riarmo ucraino. Il resto, infatti, sarà destinato allo strumento per l’Ucraina nel 2024, da cui partono i contributi per l’assistenza finanziaria totale da 50 miliardi di euro fino al 2027, e al Programma europeo per l’industria della difesa, dal 2025.
“Continuiamo a sostenere l’Ucraina, come abbiamo promesso. Il nostro pagamento di 4,5 miliardi di euro questa settimana è il primo dal Fondo per Ucraina e un’ulteriore prova di questa determinazione. Dobbiamo continuare a sostenere gli sforzi dell’Ucraina per reagire sul campo di battaglia. Sono lieta che i leader abbiano approvato la nostra proposta di utilizzare le entrate straordinarie derivanti dagli asset russi immobilizzati. Ciò fornirà finanziamenti per attrezzature militari da inviare all’Ucraina”, ha subito chiarito di buon mattino il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aggiungendo che “possiamo aspettarci di raccogliere circa 3miliardi di euro per il 2024 e importi simili negli anni futuri. E sono molto grata alla Repubblica ceca per la sua iniziativa di fornire 800 mila munizioni all’Ucraina, insieme ai suoi partner. I finanziamenti potranno andare anche a questa iniziativa”.
La risposta stizzita arrivata dal Cremlino, è comunque il segno che una certa paura c’è. “L’idea che i beni russi congelati all’estero non siano di nessuno è assurda, appartengono a Mosca”, ha detto il portavoce Dmitry Peskov. “Abbiamo sentito le dichiarazioni da Bruxelles secondo cui gli utili dei nostri beni non appartengono a nessuno. Non è così, appartengono ai proprietari dei beni. E pensare che non appartengono a nessuno è quantomeno assurdo: ci sranno conseguenze molto gravi”.
Poi c’è il rovescio della medaglia, ovvero la fumata nera sulla emissione di debito europeo per il riarmo del Vecchio continente. I Ventisette stanno pensando a soluzioni innovative, per non gravare in questo sforzo sulle casse degli Stati. E una delle idee che si sta facendo più largo è quella dell’emissione di nuovi eurobond, come si è fatto durante la pandemia di coronavirus per finanziare il Recovery Fund. Ma nelle conclusioni del Consiglio, infatti, sul punto cruciale dei finanziamenti, i leader si sono divisi (Germania e nordici non vogliono emissioni comuni di debito) e alla fine si è deciso di prendere tempo.