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Dopo l’attentato a Mosca, cui prodest? Il commento dell’amb. Castellaneta

Una settimana fa l’attacco nella capitale russa rivendicato dallo Stato Islamico. Tanti i punti rimasti oscuri, ecco perché è necessario farsi alcune domande. L’intervento di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti

È trascorsa una settimana dal terribile attentato al Crocus City Hall di Mosca, ma sono ancora molti – forse troppi – i punti rimasti oscuri. Proviamo, tuttavia, a fare qualche riflessione sulle conseguenze che questo tragico evento potrebbe avere, sia all’interno della Russia sia a livello internazionale.

Nonostante la rivendicazione quasi immediata da parte dell’ISIS-K, le modalità e le responsabilità dell’attentato restano da chiarire  e probabilmente non se ne conoscerà mai fino in fondo la matrice. Anche se l’autoproclamazione di responsabilità da parte dell’organizzazione terrorista islamica sia ritenuta abbastanza credibile (anche perché non erano mancate le avvisaglie nelle settimane precedenti), sarà quasi impossibile risalire ai mandanti ultimi dell’attentato e alle complicità – attive e passive – di cui i membri reali o presunti del commando abbiano beneficiato.

Sembra più utile soffermarsi invece su una domanda, la cui risposta può essere determinante per le conseguenze future: cui prodest? Lungi dall’indossare lenti complottiste, è oggettivamente molto difficile pensare che le accuse mosse dalla Russia all’Ucraina siano attendibili per una serie di motivi. Innanzitutto, per Kyiv organizzare (o anche solo “sponsorizzare”) un massacro di civili inermi sarebbe un boomerang con conseguenze potenzialmente fatali e che le alienerebbero una gran parte del sostegno offerto finora dall’Occidente. Inoltre, il fatto che gli autori dell’attentato stessero cercando di riparare proprio in Ucraina nel tentativo di “bucare” il confine attualmente più militarizzato al mondo sembra quantomeno velleitario se non davvero poco credibile e, anzi, va detto che la versione ufficiale di Mosca rispetto ai quattro arrestati fa acqua da diverse parti.

Sembra che si possa scartare anche l’ipotesi all’estremo opposto, ovvero che si sia trattato di un attentato organizzato – o se non altro “tollerato” – dallo stesso Cremlino. Piuttosto, chi voleva colpire il regime di Vladimir Putin ha calcolato molto bene i tempi, passando all’azione proprio nel momento in cui lo “zar” sembrava aver impresso un nuovo giro di vite al suo sistema di potere autoritario dopo avere stravinto le elezioni. E qui, tuttavia, sembra scattare un paradosso le cui conseguenze potrebbero essere molto pericolose: l’attentato ha messo in luce le debolezze di un regime che sembrava inattaccabile e inscalfibile, suscitando una reazione che potrebbe portare a un aumento dell’aggressività da parte del regime stesso.

Che cosa attendersi, dunque? La propaganda putiniana potrebbe avere gioco facile nel manipolare le informazioni in suo possesso e attribuire – seppure contro ogni evidenza – la responsabilità dell’attentato all’Ucraina, trovando quindi la giustificazione per intensificare l’offensiva militare proprio in prossimità dell’arrivo della primavera e dell’estate. Il rischio che la tensione si allarghi anche ai Paesi limitrofi è reale, e potrebbe bastare davvero poco per far scattare una scintilla (come ha dimostrato il missile russo che nei giorni scorsi ha sorvolato una porzione di spazio aereo polacco).

Inoltre, Putin non ha perso tempo per “mostrare i muscoli” contro l’Occidente, minacciando di abbattere gli F-16 che dovessero essere forniti dai Paesi Nato all’Ucraina. Quindi, mai come ora è necessario che da parte occidentale si mantenga il sangue freddo per non lasciarsi trascinare in quella che potrebbe essere una pericolosissima escalation con un regime che, dopo essere stato ferito, ha bisogno di mostrarsi forte all’esterno per poter riaffermare il monopolio della forza all’interno. Potrebbe essere dunque il momento giusto per la diplomazia, cogliendo in maniera positiva l’esortazione fatta da Papa Francesco: non per sventolare la “bandiera bianca” in segno di resa, ma per cercare almeno di aprire uno spiraglio negoziale che porti a un allentamento della tensione e della violenza tra Russia e Ucraina.

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