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Cosa c’è dietro l’assalto al Crocus City Hall. L’analisi di D’Anna

Oltre al classico cui prodest, l’Occidente si chiede quale impatto avrà l’attentato di Mosca negli sviluppi della guerra in Ucraina. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Nemesi islamica o altro, le modalità ed il bilancio che rasenta le 100 vittime dell’attentato di Mosca potrebbero rappresentare una cinica strategia ad orologeria per raggiungere effetti e soprattutto scopi ben diversi dalla semplice vendetta fondamentalista.

È davvero incredibile che nella capitale russa monitorata dai servizi di sicurezza con i più avanzati sistemi di identificazione facciale forniti dai cinesi, un commandos di quattro o cinque persone abbia potuto raggiungere e fare irruzione nell’area del Crocus City Hall, massacrare la folla, scatenare un incendio e poi dileguarsi fra le maglie della polizia e dei reparti speciali che hanno circondato la zona e l’intera periferia. Oltre alla rivendicazione dell’Isis, ad avvalorare la pista fondamentalista circa due settimane adietro l’Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb sovietico, aveva affermato di avere eliminato una cellula della branca afghana dello stato islamico che stava pianificando un attacco armato nella capitale. Notizie che coincidevano con i rapporti dell’intelligence americana che il 7 marzo avevano avvertito il Cremlino che il gruppo terroristico Isis-k, un ramo dello Stato islamico che ha operato in Afghanistan, Siria, Pakistan e Iran, era attivo in Russia.

Vera o solo apparente la pista islamica è stata immediatamente utilizzata dall’ex presidente Dmitrij Medvedev, attuale vice presidente del Consiglio di sicurezza, per affermare: “Se Kyiv è coinvolta uccideremo i leader ucraini”.

Niente in confronto al delirante invito pubblicamente rivolto a Putin dall’oligarca Konstantin Malofyev che ha chiesto un attacco nucleare contro Kyiv. “Diamo alla popolazione civile ucraina 48 ore per lasciare le città e utilizziamo tutte le forze e i mezzi porre fine finalmente a questa guerra con la sconfitta del nemico”, ha teorizzato Malofyev su Telegram.

Immediata la replica del governo ucraino, che ha negato oltre ogni dubbio qualsiasi coinvolgimento, così come ha fatto il Corpo dei Volontari Russi, le unità paramilitari che nelle ultime settimane hanno rivendicato diversi attacchi e tentativi di infiltrazione nelle regioni russe frontaliere di Belgorod e Kursk.

Se non altro perché le eventuali operazioni di commandos ucraini in territorio russo per allentare la morsa dell’invasione avrebbero obiettivi militari, come le fabbriche di armamenti, lo stesso Cremlino, i quartier generali delle forze armate, depositi petroliferi, aeroporti e trasporti.

In attesa di sviluppi da Mosca dalla caccia ai terroristi, che però come avvenne nel 2011 in occasione degli attentati nel 2002 al teatro Dubrovka e nel 2011 all’aeroporto Domodedovo, non hanno mai portato alla cattura di nessun attentatore vivo che potesse far risalire ai complici, si teme una mossa a sorpresa da parte di Putin contro l’Occidente. Magari se dopo un coreografico assedio e un epico assalto degli Specnaz, dovessero essere mostrati i corpi di 4 o cinque ufficiali ucraini o dei paramilitari armati da Kyiv e venissero indicati con sovrabbondanza di prove come gli autori dell’attentato di venerdì sera.

Nell’Europa che si sta preparando al peggio e programma l’avvio di un piano di difesa comune, il timore più grave è rappresentato dal dover constatare come spesso proprio l’alibi rappresenti la prova di un delitto.

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