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La sfida tra Biden e Trump passa anche dalla scelta dei candidati vice

La questione principale che si pone adesso è quella della scelta dei candidati alla vice presidenza. Un nodo, questo, che – a prima vista – sembrerebbe riguardare soltanto Trump. In realtà interessa anche Biden e ciascuna scelta potrebbe rivelarsi carica di conseguenze significative. Ecco tutti i nomi in ballo

La campagna elettorale per le presidenziali americane è a un punto di svolta. Joe Biden e Donald Trump hanno infatti blindato matematicamente le nomination dei loro partiti. Sebbene l’investitura ufficiale arriverà soltanto in occasione delle convention nazionali estive, è ormai certo – salvo imprevisti eclatanti – che saranno loro a sfidarsi per la Casa Bianca il 5 novembre. La questione principale che si pone adesso è quella della scelta dei candidati vice. Un nodo, questo, che – a prima vista – sembrerebbe riguardare soltanto Trump. Biden è infatti intenzionato a ripresentare il medesimo ticket del 2020. Eppure, a ben vedere, non sono pochi i dubbi che aleggiano sul futuro di Kamala Harris.

L’attuale vicepresidente è infatti significativamente impopolare e, secondo quanto rivelato dalla Cnn già a novembre del 2021, non sarebbe ben vista anche da alcuni settori della stessa Casa Bianca. Non a caso, a settembre scorso, l’editorialista del Washington Post, David Ignatius, consigliò a Biden di cambiare running mate per le prossime presidenziali, puntando su nomi, come il segretario al Commercio, Gina Raimondo, o il sindaco di Los Angeles, Karen Bass. Un altro nome che è circolato è quello della governatrice del Michigan, Gretchen Whitmer, mentre non si può neppure del tutto escludere quello del governatore della California, Gavin Newsom. Il ragionamento dei malpancisti è che, vista l’età avanzata di Biden, puntare su un candidato vice più popolare potrebbe dare al ticket dem maggiori chances di vittoria a novembre.

Va detto che, al momento, la sostituzione della Harris è un’ipotesi assai vaga. È infatti quasi certo che la diretta interessata sarà alla fine confermata come running mate di Biden. Tuttavia, qualora dovesse essere estromessa dal ticket, non mancherebbero le incognite. Innanzitutto la Harris non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro. Ragion per cui difficilmente accetterebbe un eventuale siluramento senza batter ciglio. In secondo luogo, cambiare un ticket in corsa potrebbe rivelarsi un evento politicamente traumatico e mettere lo stesso Biden in una situazione di imbarazzo. In terzo luogo, l’ultima volta che un presidente in campagna elettorale cambiò ticket le cose non andarono granché bene: era il 1976, quando il repubblicano Gerald Ford sostituì Nelson Rockefeller con Bob Dole. Quell’anno, Ford alla fine perse contro il democratico Jimmy Carter.

E Trump? L’ex presidente sta valutando una serie di nomi. È d’altronde dalla scelta del suo numero due che si potrà capire come intenderà portare avanti la campagna elettorale per la Casa Bianca. Uno scenario possibile è che voglia creare un ticket omogeneo, scegliendo un trumpista di ferro come running mate. Da questo punto di vista, circolano i nomi della governatrice del South Dakota, Kristie Noem, del deputato della Florida, Byron Donalds, della candidata al Senato, Kari Lake, e dell’imprenditore, Vivek Ramaswamy. In passato, l’ex presidente non ha inoltre escluso di poter prendere in considerazione il giornalista Tucker Carlson. Un secondo scenario è che Trump punti su un volto più tendente al centro: da questo punto di vista, il nome al momento più forte resta quello del senatore del South Carolina, Tim Scott, che potrebbe aiutare Trump sia col voto delle minoranze etniche sia con gli elettori suburbani. Guardando contemporaneamente alle minoranze e al voto moderato, un altro nome considerato papabile è quello del senatore della Florida, Marco Rubio. Tutto questo, sebbene non sia ancora completamente tramontata l’ipotesi di un ticket con Nikki Haley. Per quanto Trump e quest’ultima siano al momento in pessimi rapporti, il nome dell’ex ambasciatrice all’Onu rimane sul tavolo.

Va da sé che, se scegliesse un trumpista, l’ex presidente entusiasmerebbe la sua base ma farebbe più fatica a compattare le varie anime del Partito Repubblicano. Di contro, se optasse per un centrista, federerebbe il Gop ma irriterebbe l’ala oltranzista del movimento trumpista: non a caso, nei mesi scorsi, sia Carlson sia Steve Bannon hanno tuonato contro l’ipotesi di una candidatura a vicepresidente della Haley. Dall’altra parte, in passato Trump ha dimostrato di essere un pragmatico: prova ne fu la designazione di Mike Pence come proprio running mate nel 2016. Nonostante fosse stato un sostenitore della candidatura presidenziale di Ted Cruz, Pence venne scelto da Trump, per strizzare l’occhio a quella destra religiosa che, all’epoca, ancora non si fidava pienamente di lui.

A metà strada tra trumpisti e centristi si collocano il senatore dell’Ohio, JD Vance, e la deputata del New York, Elise Stefanik: pur molto vicine all’ex presidente, queste due figure sono maggiormente in grado di captare voti trasversali. Soprattutto Vance potrebbe essere una carta da giocare agli occhi dei colletti blu della Rust Belt. È invece totalmente escluso un ritorno di fiamma di Trump nei confronti di Pence, che, negli scorsi giorni, si è rifiutato di dargli il proprio endorsement. Piuttosto improbabile è infine un ticket con Ron DeSantis. Difficilmente il governatore della Florida potrebbe aiutare il magnate ad allargare la sua base elettorale. Inoltre, nonostante gli abbia dato l’endorsement dopo essersi ritirato dalle primarie, pare che tra i due si registrino al momento rapporti tutt’altro che idilliaci.

Ma Trump non sta guardando soltanto al voto operaio e a quello delle minoranze etniche. Secondo quanto recentemente rivelato da Nbc News, il candidato repubblicano vorrebbe un running mate che non sia percepito come eccessivamente rigido sul fronte della lotta all’aborto. L’ex presidente teme infatti che una posizione intransigente su questa materia possa alienargli voti cruciali a novembre: sta quindi cercando una figura che gli consenta di tenere una linea intermedia, in grado di attrarre consensi trasversali senza al contempo perdere il sostegno dell’elettorato evangelico. Sia per Biden sia per Trump la scelta del candidato vice potrebbe rivelarsi carica di conseguenze significative.


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