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Il sogno (o il bluff) della Difesa comune europea. Il commento di Cangini

Sono tanti i passi che, nel frattempo, si potrebbero e si dovrebbero compiere nell’attesa che uno choc o una resipiscenza collettiva inducano i singoli governi degli Stati membri a far compiere all’Europa politica quel balzo in avanti di cui si parla, invano, da tanti, troppi decenni. Il commento di Andrea Cangini

Non c’è stato leader politico o ministro in carica che ieri non abbia accolto i risultati del Consiglio europeo annunciando l’imminente nascita di “una Difesa comune europea”. Nelle stesse ore in cui le agenzia di stampa dei 27 Paesi membri battevano e ribattevano tali entusiastiche dichiarazioni, il presidente del Centro Studi Internazionali Andrea Margelletti teneva la lezione dal titolo “La tenuta dei sistemi democratici rispetto alla sfida delle dittature” alla Scuola di Liberalismo della Fondazione Luigi Einaudi. Margelletti è stato icastico: “Quella di una Forza Armata europea è la più grande truffa che si possa mettere in piedi. E lo fanno tutti; tutte le classi politiche, di tutti i colori e di tutti i Paesi”.

Difficile dargli torto. Una Difesa comune presuppone, infatti, una politica estera comune e una politica estera comune presuppone una comune fonte di legittimità politica. Detta altrimenti: la Difesa comune europea potrà nascere solo quando nascerà una democrazia europea. Quando, cioè, gli Stati nazionali si saranno spogliati della propria, residua, sovranità e una riforma dei Trattati avrà messo radicalmente mano alla governance europea dando di conseguenza vita a istituzioni comuni democraticamente elette su base continentale. Un vasto programma, direbbe il generale de Gaulle. Ma anche una necessità. Necessità che la possibile vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti potrebbe rendere non più procrastinabile. Nel frattempo, chi parla di Difesa comune sogna, o più probabilmente bluffa.

Ma non per questo si deve rimanere con le mani in mano. Rafforzare il monitoraggio delle capacità tecnologiche industriali strategiche disponibili a livello continentale, escludere dai parametri del Patto di stabilità le spese per la difesa, sviluppare accordi multilaterali finalizzati ad una maggiore interdipendenza delle capacità militari, mettere in comune i frutti della ricerca applicata alla tecnologia bellica sviluppata a livello nazionale, coordinare a livello europeo la produzione di armi e di munizioni, cofinanziare con fondi europei la produzione di armamenti o dedicare a questi fine degli eurobond… Sono tanti i passi che, nel frattempo, si potrebbero e si dovrebbero compiere nell’attesa che uno choc o una resipiscenza collettiva inducano i singoli governi degli Stati membri a far compiere all’Europa politica quel balzo in avanti di cui si parla, invano, da tanti, troppi decenni.

Nel frattempo, dobbiamo accontentarci dei bizantinismi “imperativi” contenuti nel documento che ha concluso l’assise di ieri a Bruxelles: “Il Consiglio europeo sottolinea la necessità imperativa di una preparazione militare e civile rafforzata e coordinata e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce”. Bizantinismi, appunto.


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