In cinque mesi di guerra, la Cina ha progressivamente manifestato la sua “neutralità pro-palestinese”, sfruttando il contesto per dare spazio anche alla narrazione di Hamas, pur di usare il dossier a proprio favore (ossia per criticare l’Occidente e imbonirsi il Global South). Questa analisi è tratta dal “Diario Indo Mediterraneo” contenuto nella newsletter “Indo Pacific Salad”
Durante una visita a Doha, Wang Kejian, rappresentante della Repubblica Popolare Cinese, ha tenuto un incontro speciale con Ismail Haniyeh, il leader politico di Hamas. Haniyeh ha espresso l’urgenza di porre fine al conflitto a Gaza, dice la Cina, mentre nel corso della sua missione, il diplomatico cinese ha ribadito il sostegno di Pechino alla soluzione a Due Stati, spiega un comunicato del ministero degli Esteri di Pechino.
Doha è lo stesso luogo che nei prossimi giorni ospiterà un nuovo incontro tra il direttore della Cia, il primo ministro locale, il direttore del Mossad e il capo dell’intelligence egiziana. Il formato a quattro è quello usato per discutere i negoziati sugli ostaggi catturati da Hamas — affare su cui Pechino non si è mai pubblicamente impegnata.
A partire dal 7 ottobre, la diplomazia cinese ha cercato di giocare un ruolo interessato nel dibattito israelo-palestinese, mostrando una tendenza a favore della parte araba, traiettoria indicata sin da subito Enrico Fardella (UniOrientale/ChinaMed), che spiegava come questa “neutralità pro-palestinese” – simile alla “neutralità pro-russa” riguardo alla guerra in Ucraina – “è funzionale a massimizzare la propria flessibilità diplomatica proponendosi come unica grande potenza capace di dialogare con entrambe le parti”.
Il readout cinese riporta testualmente che Haniyeh ha “stressato” la necessità di “fermare rapidamente l’aggressione e i massacri”, del ritiro israeliano da Gaza e di “raggiungere gli obiettivi politici e le aspirazioni di stabilire uno stato palestinese indipendente”. Messa così, significa che, nella comunicazione ufficiale, Pechino ha voluto lasciare nero su bianco le rivendicazioni narrative e propagandistiche di Hamas – la cui aggressione del 7 ottobre non è mai stata pubblicamente condannata da Partito/Stato, che invece si è fatto promotore vocale del cessate il fuoco.
Cessate il fuoco che Wang ha anche ribadito nei suoi incontri successivi con il governo d’Israele (dove è stato ricevuto per formalità diplomatica da funzionari del ministero degli Esteri) e Autorità Palestinese (dove invece ha incontrato il ministro degli Esteri Riyad al Maliki e usato toni più netti contro gli israeliani). Eccezion fatta per il viaggio dell’inviato speciale per il Medio Oriente, Zhai Jun, per incontri nella regione e per gli incontri al Cairo del capo della diplomazia Wang Yi, questo di Wang è stata la principale attività diplomatica intessuta dalla Cina.
Pechino ha anche usato la guerra come piattaforma per mostrare la sua solidarietà con il mondo arabo e il Sud globale, posizionando le sue opinioni come in opposizione a quelle degli Stati Uniti. Il ministero degli Esteri cinese ripete che la guerra è un “fallimento della civilizzazione”, sostiene di supportare il riconoscimento onusiano della Palestina insieme alla soluzione a Due Stati, contro chi – sottinteso: gli Stati Uniti – “si oppone da dentro il Consiglio di Sicurezza”.
Anche se non è chiaro quanta influenza abbia la Cina nella regione per svolgere un ruolo forte a sostegno di tale sforzo, la creazione di uno stato palestinese indipendente è coerente con la politica estera di lunga data di Pechino, che è stato uno dei primi a riconoscere la Palestina come stato sovrano alla fine degli anni Ottanta. Con questo atteggiamento, la Repubblica popolare mira a guadagnare il consenso di chi critica la guerra, di chi sente la sofferenza palestinese come propria, di chi la vede con lenti ideologiche.
Per esempio, secondo nuove rivelazioni di Bloomberg, gli Houthi – che hanno messo a ferro e fuoco le rotte geo-economiche indo-mediterranee nel Mar Rosso con la scusa di una ritorsione contro Israele – considerano effettivamente le navi cinesi (e russe) al di fuori dei target possibili.