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Allarme rosso. Così le province cinesi bussano alle grandi banche

Le amministrazioni del Dragone, soprattutto rurali e periferiche, sono indebitate fino al collo a causa del collasso del mattone. E ora chiedono ai grandi istituti controllati dal partito di rinegoziare i prestiti. Mentre in Corea del Sud esplode la mina derivati

Le immense province cinesi sono con l’acqua alla gola e con esse le piccole banche di territorio. Dopo aver finanziato per anni lo sviluppo immobiliare al di fuori delle metropoli, il collasso del mattone (case rimaste invendute e conseguente crollo dei prezzi) non ha consentito agli istituti di rientrare dei prestiti, aprendo voragini nei conti. Qualcuno deve metterci una pezza, o meglio dovrebbe. Chi?

Sempre loro, le grandi banche del Dragone, controllate dallo Stato, o meglio, dal partito. Quel partito reduce dalla cinque giorni dell’Assemblea del popolo, segnata dall’ennesima fuga precipitosa degli investitori, che della Cina e le sue Borse si fidano sempre meno. E così, decine di alti funzionari di alcune delle province e città più indebitate della Cina hanno incontrato nei giorni scorsi a Pechino i principali banchieri statali, nella speranza di rinegoziare i prestiti concessi dalle grandi banche a quelle più piccole, affinché finanziassero il mattone.

Un buco di miliardi di dollari che senza una ristrutturazione profonda manderà all’aria i piani del governo, che anche per il 2024 si aspetta una crescita del 5%. Molti governi locali sono alle prese con miliardi di dollari di debito fuori bilancio, soffocando la loro capacità di implementare nuovi investimenti e aumentando la pressione sull’economia. I funzionari delle province di Liaoning e Hebei e della città di Tianjin, per esempio, si sono impegnati in ampie discussioni sul debito con i principali banchieri cinesi.

I rappresentanti della provincia di Liaoning, hanno incontrato lo scorso sabato i vertici di una dozzina di istituzioni finanziarie statali, tra cui la Banca Industriale e Commerciale della Cina, il più grande prestatore del Paese. Questo sul versante cinese. Fuori dai confini, invece, c’è un altro problema, che risponde al nome di derivati, i pericolosissimi strumenti finanziari ad alto tasso speculativo. Ebbene, l’organismo di controllo dei mercati finanziari della Corea del Sud avrebbe riscontrato degli illeciti da parte delle società finanziarie locali che hanno venduto dei derivati legati ad un indice del mercato azionario di Hong Kong. Derivati cinesi, dunque.

“Il risultato dell’ispezione mostra una cattiva gestione della politica di vendita e della protezione dei consumatori, vendite incomplete a livello di sistema e vari tipi di vendite incomplete nei singoli casi”, ha spiegato il Servizio di vigilanza finanziaria (Fss), dopo due mesi di indagini su 11 società finanziarie. Di qui la volontà di punire gli illeciti nella vendita di prodotti d’investimento in base alla legge, ad esempio attraverso sanzioni e multe, mentre verrà preso in considerazione anche l’impegno di ogni azienda per compensare le perdite dei clienti. Sempre che non sia troppo tardi.

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