I presupposti per ridurre il costo del denaro ci sarebbero pure, ma tra tre o quattro mesi la situazione sarà ancora più chiara e si capirà se l’aumento dei salari impatterà sulla domanda. Non capisco il senso di imporre la riduzione dei deficit quando c’è da spendere per Difesa comune e transizione. Intervista all’economista, già presidente di Assonime, Innocenzo Cipolletta
Christine Lagarde non ha deluso nemmeno un po’ le attese di mercati e analisti, lasciando fermi i tassi al 4,50%, per il sesto mese consecutivo. Per una prima vera sforbiciata, bisognerà attendere giugno, quando la riunione del Comitato direttivo dovrebbe sancire la svolta monetaria. Ma per il momento, dice a Formiche.net Innocenzo Cipolletta, economista e con un recente trascorso al vertice di Assonime, va bene così.
La Bce, come da previsioni, ha lasciato il costo del denaro invariato. C’è da essere delusi?
Credo sia giusto aspettare ancora del tempo, l’inflazione in Italia è bassa ma in Europa è ancora abbastanza alta. Quindi se da una parte c’è lo spazio di manovra per abbassare i tassi, dall’altro non ne vedo ancora i presupposti definitivi. Meglio aspettare qualche mese, magari maggio o giugno, mi pare la soluzione più logica e sensata.
Qualche osservatore ha fatto notare come l’aumento dei salari nel corso dell’anno potrebbe spingere la domanda e dunque ridare forza ai prezzi, vanificando le speranze di chi attende con ansia un taglio dei tassi…
No, io credo che i salari debbano aumentare e anzi lo stanno facendo, ma non credo che possano innescare un aumento dei prezzi, perché la domanda è sufficiente compensata da una buona offerta di prodotti. Ovviamente, qualora ci fosse un aumento della domanda piuttosto forte e in grado di impattare sui prezzi, allora sarebbe da mettere nel conto una qualche forma di pressione inflazionistica.
Stringiamo il campo sull’Italia. Il governo sta mettendo a terra un pezzo alla volta la riforma fiscale, spaziando dal peso delle tasse alla riscossione. Tutto questo la convince?
Non molto se debbo essere sincero. La riforma altro non è che un tentativo di accontentare tutte le categorie, finendo con il disegnare un’imposta per ogni settore, dai professionisti ai pensionati, passando per le imprese, piccole o grandi che siano. Tutto questo rompe l’unità del sistema fiscale, frammentandolo e alimentando le invidie tra i vari soggetti, creano delle lobby tra le categorie.
Nemmeno il concordato preventivo le piace?
No, perché è un incentivo all’evasione, che può andare all’attacco di una certa cifra, poi basta. Anche per questo, unitamente a quanto detto prima, credo che l’attuale riforma fiscale sia un errore.
Nei giorni scorsi l’Istat ha aggiornato il dato relativo al deficit per il 2023: 7,2%. Il governo ha tirato in ballo il Superbonus e i suoi effetti nefasti. La colpa è tutta lì?
Certamente ha concorso, se ci fossero state spese di altro tipo forse non avremmo avuto questo problema. Il Superbonus ha di fatto creato un peso non indifferente sulle future generazioni. Però vorrei ricordare come un po’ tutti i partiti, inclusi quelli della maggioranza, non abbiano fatto granché per fermarlo.
Nel 2024, anche se in forma diversa, tornerà in vigore il Patto di stabilità, il quale imporrà all’Italia una traiettoria di rientro del debito. C’è da preoccuparsi?
Non quest’anno, ma in futuro sì, nei prossimi anni. Ma se debbo dirla tutta dovremmo preoccuparci più dell’Europa.
In che senso?
Perché impone a tutti i Paesi una politica di riduzione dei disavanzi, in un momento in cui bisogna investire. La transizione energetica, la ricostruzione dell’Ucraina, la Difesa comune, sono tutte spese. Mi chiedo se il Patto di stabilità allora vada nella giusta direzione, vada incontro alle esigenze del Continente. Stiamo entrando, anzi ci siamo già entrati, in un periodo in cui si dovrà spendere. Imporre su scala generalizzata una riduzione dei disavanzi mi pare pura e semplice contraddizione. Questo è il problema, dentro e fuori l’Italia.