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Con gli Houthi all’attacco, chi riparerà i cavi sottomarini nel Mar Rosso?

La società Seacom comunica che sta aspettando i permessi per mandare a riparare uno dei tre cavi Internet danneggiati. Lavoro complesso, visto che gli Houthi mettono tra i potenziali obiettivi tutto ciò che si muove nel Mar Rosso

“Pur rimanendo ottimisti sul fatto che le riparazioni dei cavi procederanno come previsto nel secondo trimestre, come comunicato in precedenza, siamo consapevoli dei disordini in corso nella regione. Questa situazione potrebbe introdurre sfide impreviste che potrebbero potenzialmente avere un impatto sulla nostra tempistica di riparazione”. Seacom è stata sin dal primo momento la più comunicativa tra le società che hanno subito il danneggiamento dei cavi Internet sottomarini davanti allo Yemen. Danneggiamento provocato indirettamente dagli Houthi, i miliziani che nella loro fitta campagna di attacco iniziata a novembre 2023 hanno affondato la Rubymar, un cargo che con ogni probabilità ha strappato tre cavi sottomarini (Seacom appunto, l’Europe India Gateway e l’Asia-Africa-Europa 1) con la sua ancora, gettata durante le operazioni di emergenza, prima di viaggiare abbandonato alla deriva e poi colare a picco. Ora Seacom spiega che “stiamo monitorando attentamente la situazione e continueremo a tenere aggiornate tutte le parti interessate sui progressi delle operazioni di riparazione, man mano che gli eventi si susseguono”.

La società in questo momento sta aspettando i permessi per iniziare a riparare l’infrastruttura sottomarina nel Mar Rosso. Senza rivelare la causa dell’incidente, ha dichiarato anche che l’interruzione riguardava solo il segmento del cavo che va da Mombasa (Kenya) a Zafarana (Egitto) e fornito, domenica, un aggiornamento: “Il nostro partner per le riparazioni, E-marine, ha intrapreso questa settimana azioni proattive richiedendo i permessi di riparazione alle autorità competenti. Come parte del processo normativo, prevediamo che l’ottenimento dei permessi potrebbe richiedere fino a otto settimane”. Le “autorità competenti” sono gli Houthi, che come risultato della guerra civile yemenita controllano un’ampia porzione di Paese che va dai territori del Nord, in cui i ribelli separatisti hanno avviato decenni fa la loro lotta, fino alla capitale Sanaa.

Nei giorni scorsi, gli Houthi (che sono molto mediatici per necessità di propaganda) hanno parlato della situazione e spiegato che concederanno i permessi per le riparazioni, ma vogliono preventivamente essere avvisati per decidere caso per caso. È quello che vorrebbero anche riguardo i traffici marittimi: il gruppo yemenita dice di aver organizzato la campagna per ritorsione contro l’invasione israeliana della Striscia di Gaza, ma intanto si pone come un checkpoint che decide la libertà di navigazione lungo il corridoio geostrategico indo-mediterraneo da cui passa (o meglio: passava) la gran parte della connettività tra Europa e Asia.

E gli Houthi fanno sul serio. Sono abituati a combattere e con la prova delle armi hanno già forzato una coalizione internazionale a guida saudita ed emiratina — intervenuta oltre otto anni fa per cercare di salvare il governo yemenita alleato e riconosciuto internazionalmente — ad accettare compromessi in cambio della stabilità. Ora hanno infuocato una delle rotte geo-economiche cruciali a livello globale e provano a forzare di nuovo la mano con le coalizioni composite a guida occidentale che sono intervenute militarmente in questi giorni a protezione di quelle rotte (sopra e sotto la superficie del Mar Rosso).

E-marine, la società che Seacom ha dichiarato coinvolta nella richiesta di riparazione, è emiratina, con sede nello scalo internazionale di Jebel Ali, a Dubai. Come spiega una fonte ben informata su certe dinamiche tecniche, sarà un lavoro complesso. Ma prima bisognerà capire se gli Houthi la autorizzeranno, perché in passato hanno considerato nemici gli Emirati Arabi Uniti, e sebbene siamo davanti a una nuova stagione di confronto geopolitico, certe posizioni sono segnanti, soprattutto nel sistema propagandistico su cui si regge il potere degli Houthi. “D’altra parte, entrare in quelle acque senza autorizzazione è altamente rischioso, perché gli Houthi sembrano interessati a mantenere alto il livello di coinvolgimento”, aggiunge una fonte militare. Oppure no: qualcosa è cambiato e il pragmatismo domina il contesto.

Nei giorni scorsi, gli yemeniti hanno attaccato a sciame, ossia inviando una quantità tale di droni e missili che avrebbe potuto mettere in difficoltà le unità americane ed europee che intendono proteggere quelle acque. Parte di quello sciame è stato indirizzato per esempio contro le operazioni di soccorso alla True Confidence, cargo battente bandiera delle Barbados (e riconducibile a una società liberiana con collegamenti anche in Occidente). Nella nave — “colpita da un missile balistico anti-ship Asbm: non banale!”, precisa quella fonte militare — ci sono stati almeno tre morti e un incendio a bordo di vaste dimensioni. La fregata francese Alsace — integrata nella missione europea Aspides — era intervenuta per portare assistenza e cercare di rimorchiare lo scafo (abbandonato dall’equipaggio per l’entità dei danni subiti) ed evitare che si creassero ulteriori problemi come nel caso del Rubymar. Mentre era sul posto, la nave militare francese è stata attaccata da quattro droni, abbattuti a distanza ravvicinata (condizione che si ripete spesso, dato che questi velivoli sono costruiti con materiali leggeri e hanno motori poco potenti, che li rendono non individuabili da lontano).

L’Alsace ha usato il cannone di bordo per ingaggiare i droni di fabbricazione iraniana usati dagli Houthi, e ha seguito una tecnica operativa la cui efficacia è stata dimostrata per primo dal cacciatorpediniere Caio Duilio proprio durante un ingaggio cinetico avvenuto mentre scortava un cargo italiano lungo il Mar Rosso. Gli Houthi non dichiarano ancora gli assetti militari europei come obiettivi legittimi, ma lasciano capire che lo sono di fatto perché intralciano i loro interessi. Nel caso, affondare la True Confidence poteva essere un successo mediatico-propagandistico per gli yemeniti, e anche portarsi dietro effetti indiretti come quello del Rubymar coi cavi. Dunque il punto è adesso anche legato al servizio di assistenza alle imbarcazioni in difficoltà, che fa finire chi presta soccorso all’interno dei mirini degli Houthi.

Secondo il New York Times i misteriosi danni ai cavi di comunicazione vitali sotto il Mar Rosso hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che il conflitto in Medio Oriente stanno iniziando a minacciare l’Internet globale. Significa che i collegamenti digitali che connettono tre continenti — Europa, Africa e Asia — sono a rischio doppio (ed è inutile dire, nel 2024, che vi passa di tutto, dalle transazioni finanziare alla libertà di conoscenza permessa dalla rete). Per primo, il loro danneggiamento; secondo, l’assistenza in caso di necessità di riparazione.

E va aggiunto che le entità che possono intervenire in questo secondo caso non sono troppe: a parte E-marine ci sono alcune società che hanno però il peso di essere occidentali e che potrebbero essere non autorizzate, dunque bersagli. Di più: visto il contesto, le grandi compagnie di assicurazione marittima non si fidano troppo di offrire i propri servizi. Poi ci sono società russe e soprattutto cinesi. Ma “con i cinesi protrebbero avere problemi i proprietari dei cavi, che visto l’importanza critica di certe infrastrutture da cui passano dati di ogni tipo, potrebbero non essere troppo d’accordo nel far lavorare società cinesi sui cavi, dato le sensibilità relative a operazioni di spionaggio”, spiega una fonte diplomatica che conosce il settore. Seacom è di proprietà indo-africana, gli altri cavi danneggiati sono gestiti da consorzi con Paesi occidentali.


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