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Acqua vuol dire competitività. Il piano di Confindustria

Viale dell’Astronomia presenta una propria strategia in pochi punti per salvare la risorsa naturale per eccellenza. Senza la quale non è possibile immaginare ogni forma di sviluppo. Investimenti ed efficienza le parole chiave, con un occhio al Pnrr

A leggere tra le righe del Pnrr, l’Italia può far leva su due riforme e quattro investimenti per un totale di 4,38 miliardi di euro per mettere in sicurezza l’elemento naturale senza il quale non c’è né crescita, né benessere: l’acqua. L’obiettivo principale è potenziare la sicurezza e l’efficienza delle infrastrutture idriche per contrastare la siccità e migliorare la resilienza del sistema di irrigazione agricolo. Il che, in tempi di climate change, è quasi un imperativo. Confindustria ha elaborato una strategia per la messa in sicurezza del comparto idrico, presentata a Viale dell’Astronomia alla presenza di manager, come il ceo di Acea, Fabrizio Palermo, imprese e del ministro per il made in Italy, Adolfo Urso.

NEL NOME DELL’ACQUA

“La gestione sostenibile dell’acqua rappresenta una delle questioni più rilevanti del nostro tempo, che si connota per una forte valenza non solo ambientale, ma anche sociale ed economica, perché supporta settori chiave come l’agricoltura, l’industria e il turismo. In questo senso, la gestione sostenibile dell’acqua è anche una questione di competitività”, si legge nel documento, denominato Dall’emergenza all’efficienza idrica. “L’Italia è il terzo Paese europeo per disponibilità di risorse idriche, ma stiamo assistendo a una progressiva diminuzione della quantità media annuale d’acqua. Nel 2022, la disponibilità media è stata appena oltre i 221 mm, segnando una diminuzione di oltre il 51% rispetto alla media registrata nel periodo 1951-2022 e raggiungendo, così, il punto più basso di sempre”.

“Per quanto riguarda le risorse e i consumi, in Italia l’offerta d’acqua non è equamente distribuita sul territorio: più del 50% delle risorse superficiali sono localizzate al Nord, il 40% è equamente distribuito tra Centro e Sud, e il 7% circa è localizzato nelle isole maggiori. Il divario territoriale riguarda anche l’efficacia della sua gestione: infatti, resta una distanza molto netta in termini di capacità di investimento tra le gestioni industriali e quelle comunali, diffuse soprattutto nel Meridione. Dei 1.465 Comuni in cui la gestione di almeno uno dei servizi è demandata all’ente locale, l’80% si trova al Sud per una popolazione interessata pari a circa 7,6 milioni di persone”.

IL PIANO DI CONFINDUSTRIA

Ma come intervenire? Le imprese hanno le idee chiare. Occorre “definire un modello di gestione sostenibile del servizio idrico, da un punto di vista sociale, ambientale ed economico, al fine di garantire una fornitura d’acqua sicura e affidabile al sistema Paese”. Di qui cinque proposte su azioni di policy che puntano a rendere il settore più efficiente.

Primo, “allo stato attuale esiste una forte dispersione idrica, legata al trasferimento dell’acqua tramite canali e a tecniche di irrigazione non localizzate. Questa criticità può essere superata attraverso una serie di azioni che richiedono investimenti significativi per sostenere il riuso delle acque depurate o recuperate in vari contesti, dall’agricoltura all’industria, come ad esempio rendere più efficiente il processo di irrigazione della colture in tutto il Paese, prevedendo diverse modalità di approvvigionamento idrico declinate secondo le necessità e le peculiarità delle diverse colture”.

Secondo, “creare, mediante tecnologie di riutilizzo dedicate, apposite reti di distribuzione nelle aree industriali e incentivarne l’utilizzo da parte delle imprese. Oggi in Italia, pur rappresentando una soluzione economicamente sostenibile, il riuso delle acque reflue depurate viene utilizzato solo per il 4% a fronte del possibile 23% di reflui destinabili al riutilizzo”. Ancora, “accrescere la capacità di raccolta delle acque piovane, attualmente all’11% del potenziale (5,9 miliardi di m3 su 54 possibili), mediante interventi sia sugli invasi che sulle grandi dighe”. Le quali, ultimo punto, “devono essere preservate e correttamente manutenute. Per farlo, è importante affrontare il tema delle concessioni di grande derivazione idroelettrica scadute e in scadenza, assicurando certezza agli operatori in merito agli investimenti e valorizzando, al contempo, il ruolo dell’energia idroelettrica rispetto agli obiettivi europei di decarbonizzazione dei settori industriali”.

In tutto questo, “fondamentale importanza assume il quadro normativo, che deve tener conto del cambiamento climatico, valorizzare il contributo dell’economia circolare alla mitigazione e all’adattamento e promuovere progetti di integrazione idrica ed edilizia sostenibile e rispettosa dell’ambiente. È fondamentale avere una mappatura precisa e fedele delle infrastrutture esistenti che sia accompagnata da un’adeguata quantificazione di consumi, prelievi, scarichi e ricicli, nonché da una rendicontazione capillare che fornisca un quadro chiaro delle reali esigenze. Occorre, poi, individuare le opere strategiche e prioritarie necessarie a mitigare gli effetti negativi derivanti dalla crisi idrica. Questo può essere realizzato attraverso una mappatura degli investimenti, che definisca un ordine di priorità e indifferibilità nella realizzazione delle opere urgenti e un piano strategico di investimenti a livello nazionale e regionale. 4. Azioni per favorire investimenti e nuovi modelli di governance”.

UNA LUNGA STRADA

Tuttavia, attualmente l’Italia è ancora lontana da tali target idrici: infatti, per raggiungere la media europea di investimenti pro capite nel servizio idrico integrato, sarebbero necessari ulteriori 1,3 miliardi di euro l’anno, di cui solo una quota è prevista nei fondi Pnrr (circa 580 milioni di euro all’anno per il periodo 2021-2026). “Per affrontare questa sfida, dunque, occorre implementare azioni volte a favorire gli investimenti e i modelli di governance più efficienti, premiando i gestori virtuosi nel campo dell’innovazione e dell’efficientamento tecnologico e creando percorsi agevolati per l’adozione di tecnologie innovative. L’obiettivo è costruire una filiera idrica strutturata ed efficiente e iniziare a considerare l’acqua dopo l’utilizzo (civile, industriale, agricolo) come una risorsa/materia da valorizzare nel ciclo di riuso e riutilizzo (depurazione e immissione nel circolo)”.

“Quella idrica”, ha sottolineato lo stesso Urso, “è una sfida che dobbiamo fronteggiare con determinazione, in maniera coesa, attraverso un’azione coordinata e concreta tra tutte le parti interessate. Oggi è nostro dovere infatti garantire alle future generazioni un Paese capace di gestire tutte le sue risorse, in primis l’acqua, in modo sostenibile e responsabile. In Italia c’è un dato allarmante che riguarda lo spreco dell’acqua. Nel nostro Paese più di un terzo di quella immessa nella rete si perde a causa di infrastrutture idriche vetuste e dissestate. Questo spreco, quantificabile in una quantità di acqua sufficiente a soddisfare il fabbisogno di 43 milioni di persone, evidenzia una criticità che non possiamo più permetterci d’ignorare, soprattutto nella aree del Centro e del Mezzogiorno”.

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