Non affidiamoci soltanto agli strumenti legislativi, come sinora è stato fatto in Europa, per regolare l’Intelligenza artificiale. Lo strumento legislativo, nei fatti, può limitare il limitabile. Una cultura diffusa, invece, una cultura realmente pronta, permette di cogliere le opportunità, e non vedere soltanto le minacce
In questi giorni, a Glasgow, avrebbe dovuto tenersi un evento legato alla Fabbrica di Cioccolato destinato a bambini e a famiglie, che, paradossalmente, è entrato nelle rassegne stampa internazionali (anche la nostra Agi dedica un articolo al tema), ma per i motivi sbagliati.
L’evento era un fake, un falso per intenderci, che è riuscito tuttavia ad incuriosire tantissime famiglie grazie all’utilizzo di immagini realizzate con l’intelligenza artificiale, in grado di promettere un’esperienza da sogno. Va da sé che al posto delle mirabolanti fontane di cioccolato, bambini e genitori hanno trovato ben poche attrazioni.
Più che sull’intelligenza artificiale, questo evento dovrebbe farci riflettere su alcune tendenze che sono proprie della nostra società. Certo, l’intelligenza artificiale rende tutto più semplice e tutto più grande, ma non è molto diverso da moltissime altre esperienze che hanno ben poco da offrire se non l’aspetto comunicativo.
Si pensi a come è cambiata l’estetica delle insegne pubblicitarie: grazie alla presenza di grafici a buon mercato, oggi qualsiasi nuovo bar può permettersi un’insegna da grande catena internazionale, salvo poi trovarsi cibi e prodotti di scarsa qualità, persino peggiori di quanto la catena internazionale potrebbe garantire.
Non si tratta di una riflessione che riguarda esclusivamente l’estetica: è un approccio che è possibile rintracciare anche nei progetti imprenditoriali, in cui aspiranti imprenditori si concentrano più sul “pitch” (la presentazione) che sulla stabilità del modello di business, riuscendo ad ottenere anche più finanziamenti di quanto magari possa un giovane imprenditore con un’idea solida, ma che non promette di superare un miliardo di capitale.
Questo significa una doppia perdita: perché non solo si perdono i soldi investiti, ma si perdono anche i potenziali guadagni che si potrebbero avere “scommettendo” su un’impresa più solida. Ed è chiaro che questo trend non si limita soltanto ai negozianti, ai siti web, o alle start-up: coinvolge a pieno titolo anche la cultura e i musei, che non perdono mai l’occasione per dimostrare quanto siano in ritardo rispetto agli sviluppi tecnologici.
E così abbiamo trailer che sono più belli dei film, comici che fanno sold-out a teatro grazie ad una buona battuta divenuta virale, musicisti che organizzano serate con all’attivo soltanto tre brani, mostre digitali che puntano tutto sull’effetto wow. Non si tratta più del panino nel fast food del giorno di ordinaria follia: si tratta del fatto che abbiamo accettato questa distanza come normale, in tutti i campi della nostra esistenza.
Si tratta, probabilmente, di uno dei tratti culturali più diffusi della nostra società, e l’avvento delle tecnologie di intelligenza artificiale rischia, in questo senso, di agire da fattore estremizzante. In questo, il discorso culturale legato alle nuove tecnologie, piuttosto che concentrarsi su scenari futuri attraverso esercizi intellettuali che ricordano più l’arte divinatoria che la stima previsionale, dovrebbe forse concentrarsi sulle tecnologie già oggi esistenti.
In altri termini: per iniziare a costruire un percorso in cui intelligenza artificiale e intelligenza umana convivono in modo utile, non ha alcun senso concentrarsi sulle possibili aberrazioni future, realizzate con tecnologie di cui ignoriamo l’esistenza perché semplicemente non esistono.
Va piuttosto iniziata una riflessione sul nostro presente, e su quei comportamenti che, già oggi, permettono di identificare degli scenari di rischio. Una riflessione che necessariamente deve essere culturale. Perché l’intelligenza artificiale è soltanto un nuovo strumento. Forse potente. Forse no.
Di certo è che se ci spariamo a vicenda con le pistole a salve, quando ci danno mitra compiamo una strage.
Impariamo a gestire meglio gli strumenti che abbiamo. Approfittiamo di questa grande bolla speculativa che è l’intelligenza artificiale oggi per capire quali correttivi, in ogni caso, la nostra cultura e la nostra società necessitano.
Non affidiamoci soltanto agli strumenti legislativi, come sinora è stato fatto in Europa. Lo strumento legislativo, nei fatti, può limitare il limitabile. Una cultura diffusa, invece, una cultura realmente pronta, permette di cogliere le opportunità, e non vedere soltanto le minacce.