Negli Usa si riaccende l’attenzione per il Lobito Corridor, uno dei grandi progetti da cui passa – via Africa – il de-risking dalla Cina sulle materie prime. È un piano in cui Washington intende lavorare anche tramite G7 (sotto la targa Pgii) e in cui il Piano Mattei è individuato come potenziale vettore. Se ne parlerà anche a Roma, durante l’incontro degli Africa Directors del Gruppo dei Sette
“Il Lobito Corridor è davvero un gioco del playbook di Pechino”, commenta Cameron Hudson, analista all’Africa Program del Center for Strategic and International Studies, in un articolo di Foreign Policy: è “un capitolo” della Belt and Road Initiative (Bri) su cui Washington “finalmente” ha iniziato a lavorare per ottenere i propri benefici, aggiunge. E nel farlo, ha coinvolto progetti di stampo G7, come la Partnership for Global Infrastructure and Investment (Pgii), allungandoli a un’offerta di cooperazione con l’Italia tramite il Piano Mattei – come emerso nelle ultime riunioni che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto con l’amministrazione Biden durante il viaggio a Washington di inizio marzo. Tutto questo interessamento perché il corridoio che taglia in due l’Africa centro-meridionale è parte degli sforzi per diversificare le catene di approvvigionamento di materiali critici dalla sfera di influenza cinese.
Il Corridoio di Lobito è una ferrovia lunga 1.600 chilometri che potrebbe trasportare tonnellate di minerali critici dalla Repubblica Democratica del Congo e dalla Zambia alla costa angolana, ossia sul alto atlantico dell’Africa. Si tratta di raw materials che sono essenziali per i sistemi di difesa avanzati, come i caccia F-35, o per le batterie dei veicoli elettrici e le turbine eoliche; più in generale per tutto ciò che regola la transizione energetica e per la gran parte dei sistemi tecnologici attuali. Questi minerali, tra cui le terre rare, il cobalto e il litio, sono presenti in abbondanza in Africa, ma la Cina ha un forte vantaggio nella loro raffinazione e lavorazione.
Pechino ha anche consolidato le sue relazioni e i suoi accordi infrastrutturali con vari Paesi africani, grazie alla Bri, il progetto di punta della politica estera del leader Xi Jinping. Negli ultimi due decenni, Pechino ha investito almeno 170 miliardi di dollari in porti, ferrovie e altri grandi progetti infrastrutturali in tutto il continente. Anche se questi investimenti sono stati oggetto di critiche, hanno permesso alla Cina e alle sue aziende di sviluppare partnership durature sui minerali critici, le stesse risorse che sono diventate un punto focale geopolitico negli anni successivi. La partita è in corso e in un momento in cui il concetto di de-risking (con conseguente re-shoring o friend-shoring) guida le iniziative politiche economiche dei like-minded riuniti nel G7, ogni iniziativa nel settore assume valore strategico.
Gli Stati Uniti e l’Unione europea, preoccupati per le vulnerabilità che il vantaggio cinese può produrre, stanno cercando di aumentare la loro presenza nel mondo dei minerali critici. E una delle iniziative più ambiziose in Africa è proprio quella di finanziare la ristrutturazione del Corridoio di Lobito, che fu originariamente costruito da Belgio e Portogallo più di un secolo fa, ma fu distrutto durante la guerra civile angolana. Già nel 2004, le aziende cinesi vi hanno investito almeno 2 miliardi di dollari per rinnovarlo. Ma nel 2022, un consorzio sostenuto dagli Stati Uniti ha vinto i diritti per sviluppare la ferrovia, battendo l’offerta di Pechino.
Il Corridoio di Lobito sta diventando un progetto paradigmatico di un impegno ampio US-leaded. Se da un lato Washington ha cercato di spingere il proprio sforzo con misure interne (l’Inflation Reduction Act o la Critical Minerals Security Act, per esempio) e di rafforzare la sicurezza delle catene di approvvigionamento attraverso iniziativa come la Minerals Security Partnership – che coinvolge paesi alleati come Australia, Canada, Giappone, Corea del Sud e Regno Unito – dall’altro sta cercando di spingere i propri progetti attraverso partner come l’Italia, che potrebbero integrare le loro strategie africane nelle pianificazioni estese come la Pgii e rendere operativi progetti proprio come il Lobito Corridor. Anche perché, sebbene Washington abbia “davvero enfatizzato questo progetto di investimento, non ha ancora posato un pollice di ferrovia”, come ha ricordato Hudson.
La rivitalizzazione dell’attenzione sul progetto – indirizzandovi anche i media – fa parte di un rinnovato interesse generale per l’Africa, che coincide non solo con la visita di Meloni a Washington e con il lancio del potenziale vettore individuato nel Piano Mattei, ma anche a una spinta dei piani dell’amministrazione Biden prima del voto di novembre. Nei prossimi giorni, per esempio, Mike Hammer, inviato speciale per il Corno d’Africa del dipartimento di Stato, sarà prima a Londra, dove parteciperà a un incontro per l’implementazione del cessate il fuoco tra governo etiope e ribelli tigrini, e poi – il 19 e il 20 marzo – sarà a Roma. Nella capitale italiana parteciperà alla riunione dei G7 Africa Directors “per discutere gli sforzi condivisi per promuovere la pace, la sicurezza e la governance democratica”, fa sapere State Dept, nonché “rispondere alle esigenze umanitarie e sostenere le opportunità economiche” del continente.