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A dieci anni dal Califfato, torna la propaganda dell’IS

Un messaggio del capo della predicazione dello Stato islamico celebra i dieci anni dalla proclamazione del Califfato, proprio mentre l’attentato di Mosca è ancora un tema mainstream. Un rilancio delle attività del gruppo terroristico che serve al proselitismo (e che contiene anche un messaggio diretto contro la connettività in Africa)

Lo Stato islamico è un attore opportunista, e nell’anno in cui ricadono le celebrazioni del decennio dal lancio del Califfato ha utilizzato la ricorrenza del Ramadan (quando Abu Bakr al Baghdadi fece il sermone con cui annunciò al mondo la trasformazione in entità statuale della sua organizzazione terroristica) per ricordare i successi ottenuti, i cambiamenti prodotti, le sfide e prossimi traguardi. La scelta non serve solo a sottolineare che i simboli contano — come è logico nel costrutto ideologico che muove l’Is — e quindi vale più la ricorrenza del Ramadan che la data esatta, affidata al calendario secolare del 29 giugno, della ricorrenza. Ma soprattutto, coglie l’opportunità di sfruttare l’hype della situazione, con l’attentato rivendicato a Mosca ancora nelle prime pagine dei giornali. È anche per questo che l’audio celebrativo del nuovo capo della comunicazione predicativa del gruppo, Abu Ḥudhayfah al-Anṣari, esce adesso.

Il cuore del messaggio di al Ansari (nome de guerre del leader probabilmente iracheno, scelto tra uno dei più comuni cognomi diffusi tra Medio Oriente e Asia meridionale) è semplice: lo stabilimento del Califfato dieci anni fa è stato un punto di svolta nella storia, e nonostante le campagne militari contro, lo Stato islamico si sta espandendo in diverse zone del mondo. È una propaganda che però non è così errata: di fatto, l’istituzione della dimensione califfale dell’organizzazione baghdadista l’ha portata a un livello senza precedenti, il terrorismo che si era fatto stato. Adesso, nonostante quella dimensione statuale sia stata obliterata grazie alle campagne militari della Coalizione internazionale a guida americana, e in misura molto minore alle attività anti-terrorismo russe in Siria, la predicazione baghdadista ha trovato nuovi sbocchi. In Africa per esempio, oppure nel cosiddetto Khorasan, la regione storica che comprende Afghanistan, Pakistan, Iran e Asia centrale, da cui proviene il gruppo più attivo al momento, l’Islamic State Khorasan Province (ISKP) – probabilmente autore dei due più grandi attentati del 2024, quello di Kerman e quello di Mosca (per un totale di vittime che supere abbondantemente duecento).

Nel discorso – intitolato “Grazie ad Allah, la regione prevarrà” (e ovviamente con “religione” si intende l’Islam, l’unica accettabile per l’IS) – al Ansari critica le spaccature in Mozambico, dove la fazione locale ha litigato con quella regionale. È inaccettabile il localismo per la mentalità dello Stato islamico, ed è per questo che considera Hamas un’organizzazione inferiore. All’opposto, e con obiettivo di confronto, viene celebrata l’attività degli affiliati del Sahel per aver agito senza divisioni e aver iniziato già l’istituzione della “legge islamica” nei territori controllati. In modo analogo, l’entità baghdadista somala viene ringraziata per combattere al Shabaab, gruppo storico con legami qaedisti che da sempre è orientato al mero controllo di un territorio indipendente in Somalia, e viene considerato nemico. Emerge chiaramente che il disegno è sempre lo stesso del 2014: creare uno Stato islamico mondiale, un Califfato globale che sia la terra di tutti i credenti musulmani. E adesso serve ancora di più ribadirlo, anche perché gli affiliati e gli wannabe stanno agendo spesso per interesse diretto, scoordinati dal nucleo della leadership centrale. Soprattutto in Africa, dove i ritorni – visto il contesto socio-economico – sono migliori, questo messaggio è fondamentale per non mandare persi i guadagni di questi anni.

Al Ansari ammette che i gruppi africani hanno ricevuto “i migliori muhajirin”, coloro che in Occidente vengono chiamati “foreign fighters”, e lo fa mentre invita i musulmani a unirsi, a rispettare le “bayah” (i giuramenti di fedeltà fatti al Califfo) e migrare per combattere contro “ebrei e infedeli” – qui torna il richiamo ai supporter online, a cui viene chiesto di trovare il modo di contattare operativi dell’IS da cui essere guidati per eventuali azioni (“Obbedite alle direttive dei vostri fratelli, che ricevete attraverso gli organi [ufficiali] dell’IS, e che Allah protegga coloro che si prendono cura [dei media IS]”: è un elemento importante). Mentre gli americani vengono indicati come target diretto, un passaggio da evidenziare nel discorso riguarda la Russia, la necessità di combatterla anche in Siria (dove in alcune aree l’IS è ancora attivo, nonostante il regime assadista rivendichi la sanguinosa vittoria della guerra civile e sul terrorismo). È interessante che al Ansari dica “non abbiamo bisogno di fornire scuse o giustificazioni secondo la sharia”, come per rispondere ai disattenti rimasti sorpresi dell’attacco a Mosca (e anche indirettamente alle strambe ricostruzioni del Cremlino) Viene celebrata la capacità operativo dell’ISKP, anche per gli attacchi contro i cinesi, ma non viene indicato come responsabile dell’attacco di Mosca (e di Kerman): è parte della strategia di cui parlava Riccardo Valle (The Khorasan Diary) per evitare un’eccessiva esposizione della provincia più forte. Dettagli che indicano come l’audio messaggio sia recente.

C’è un altro passaggio piuttosto interessante, anche per gli interessi italiani: quando al Ansari parla dei “giganti della giungla e leoni della battaglia” riferendosi all’ISCAP, acronimo di Islamic State Central Africa Province, ringrazia per aver perseguitato i cristiani e averli costretti a migrare, ma anche per aver “distrutto le rotte commerciali”. Quest’ultimo aspetto è interessante per due ragioni: la prima è che  (confermando che il discorso è davvero recente), anche l’IS si mette nel contesto tattico-strategico in cui si muovono gli Houthi, ossia quello del dimostrare capacità di disarticolare le connettività e dunque elevare il proprio livello di forza e minaccia; il secondo riguarda la rotta in sé. L’Iscap è attiva tra Uganda e Repubblica del Congo, ma ha connessioni anche in Kenya, Tanzania, Zambia e Angola: una regione particolarmente estesa che interessa uno dei collegamenti simboli di un certo tipo di impegno occidentale nella connettività africana, il Lobito Corridor (su cui l’Italia potrebbe far coincidere le iniziative del Piano Mattei con quelle del G7, secondo suggerimento americano).


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