Secondo un report di Ecfr i partiti anti-Ue in Europa sono divisi su temi fondamentali, per questo non è detto che riescano a sfondare alle prossime consultazioni. Anzi, “il mainstream politico pro-Ue alle elezioni del Parlamento europeo di quest’anno potrebbe ottenere una posizione migliore di quanto molti si aspettano, con la maggioranza alla Camera”. Ecco tutti i dati dello studio
L’agenda dell’Ue non sarà definita dall’estrema destra, la politica migratoria non sarà decisiva per le elezioni, e non promuovere la risposta Ue alle crisi. Sono queste le tre lezioni sulle prossime elezioni europee che si possono trarre da uno studio dell’European council on foreign relations (Ecfr) pubblicato oggi. Secondo gli autori del report Ivan Krastev e Mark Leonard, inoltre, sebbene il sostegno per i partiti di estrema destra e anti-europei sia in crescita, “il mainstream politico pro-Ue alle elezioni del Parlamento europeo di quest’anno potrebbe ottenere una posizione migliore di quanto molti si aspettano, con la maggioranza alla Camera”.
Ma facciamo un passo indietro alle tre lezioni, partendo dalla prima. Secondo il sondaggio, la futura agenda dell’Ue non sarà definita dall’estrema destra. Perché? Perché, spiegano gli autori, il movimento anti-europeo è molto diviso al suo interno. “Solo in quattro Stati membri, Austria (58%), Germania (55%), Paesi Bassi (63%) e Svezia (59%), la maggioranza dell’elettorato riconosce che i leader di partiti di estrema destra stanno complottando l’uscita del Paese dall’Ue”, si legge.
In Italia? Secondo il sondaggio, “pochissimi sostenitori (15%) del partito al governo in Italia, Fratelli D’Italia, credono che Giorgia Meloni voglia far uscire l’Italia dall’Ue, e anche l’elettorato italiano generale (17%) sembra dubitarne”. Per questa ragione, “l’opposizione italiana potrebbe avere difficoltà a mobilitare gli elettori sostenendo che votare FdI rischierebbe di mettere in pericolo l’Ue e la posizione dell’Italia”. Lo stesso ragionamento si può fare per Spagna, Portogallo e Romania. Diverso, invece, il caso polacco. “Solo uno su cinque (21%) dei sostenitori del leader del PiS, Jaroslaw Kaczynski, crede che Kaczynski voglia uscire dall’Ue, mentre il 52% della popolazione crede che questo sia il suo obiettivo”.
Ma non solo. I movimenti anti-europei sono divisi anche su questioni chiave come Ucraina e migrazioni. “Gli elettori del PiS e dei Democratici svedesi – si legge nel report – sostengono fortemente lo sforzo bellico ucraino, rispettivamente il 58% e il 52%, sottolineando che l’Europa dovrebbe continuare a sostenere l’Ucraina nella riconquista del territorio perduto. Questa opinione è spesso condivisa dal portoghese Chega (42% favorevole) e dallo spagnolo Vox (35% favorevole). Tuttavia, in altri Paesi, l’88% degli elettori del Fidesz ungherese, il 70% di quelli alleati del Partito della Libertà (FPO) austriaco e il 69% dell’AfD tedesco si oppongono a tale azione, e credono invece che l’Europa dovrebbe spingere l’Ucraina verso una soluzione negoziata con la Russia”.
La divisione sul tema migrazioni, vede una parte dei sostenitori delle forze di estrema destra preoccupata dalle persone che arrivano nel loro Paese (in Olanda, Svezia, Germania, Francia e Polonia), mentre in Italia, Spagna, Portogallo e Ungheria la preoccupazione maggiore è l’emigrazione. Inoltre viene chiarito che nonostante l’impennata dell’estrema destra, causata proprio dalla paura dell’immigrazione, si rileva una sopravvalutazione del tema. Gli elettori, inoltre, sarebbero più interessati alle motivazioni dei leader che alle loro politiche.
Secondo Mark Leonard, coautore e direttore fondatore dell’Ecfr, “le persone sbagliano a pensare che il modo migliore per battere l’estrema destra sia imitare le sue politiche sull’immigrazione. Il nostro sondaggio mostra che l’immigrazione non è il problema principale per gli elettori nella maggior parte dei Paesi e che copiare le politiche di estrema destra può far sembrare i partiti tradizionali non autentici. L’alternativa migliore è concentrarsi sulle debolezze dei partiti euroscettici – aggiunge – e sostenere la causa geopolitica dell’Europa, in vista di un ritorno di Trump sulla scena politica”.
Così anche Ivan Krastev, coautore e presidente del Centre for Liberal Strategies: “I leader europei non dovrebbero trasformare queste elezioni in una campagna elettorale sulla migrazione, ma piuttosto sulla natura dei confini europei: militari, economici e umani. Non dovrebbero mobilitare gli elettori cercando di far leva sulla solidarietà con l’Ucraina, ma piuttosto sulla preoccupazione per la sovranità e la sicurezza europea. Di fronte all’incertezza della politica americana e all’aggressione di Putin, dovrebbero sostenere che viviamo in un’epoca in cui, se l’Ue non esistesse, bisognerebbe inventarla”.
La tentazione di puntare, poi, sui successi dell’Ue in ambiti come la lotta al Covid, il Green New Deal e il sostegno all’Ucraina non sarebbe strategicamente conveniente per i leader europei. Gli elettori, infatti, non guardano unanimemente in modo positivo alle politiche europee su questi temi, così come le politiche climatiche creano grandi divisioni tra i cittadini europei.
Insomma, secondo i due coautori Krastev e Leonard “se i partiti tradizionali vogliono fronteggiare l’estrema destra, devono adottare un’agenda alternativa che dia priorità alle elezioni nazionali e sviluppi campagne mirate, progettate per mobilitare gli elettori senza però alimentare una reazione anti-europea. Con le elezioni presidenziali americane alle porte, gli europeisti devono sostenere la causa di un’Europa in grado di difendere i propri confini dalla Russia, di controllare l’immigrazione e di gestire i propri affari sulla scena globale”.