L’Unione europea si trova davanti a un bivio: decidere in che direzione riformare sé stessa, se in senso nazional-governista o in senso federale. Le elezioni europee che si avvicinano determineranno anche in quale direzione si andrà. Conversazione con Claudio Martinelli, docente all’Università Milano-Bicocca
Un cambiamento ci sarà, ma non uno stravolgimento rispetto agli equilibri che hanno sempre caratterizzato, dalla sua fondazione, il baricentro politico dell’Europa, ossia una sostanziale collaborazione tra le forze tradizionali dell’europeismo. Lo crede il professore di Diritto pubblico e comparato e Diritto parlamentare nell’Università di Milano-Bicocca Claudio Martinelli, autore di un libro che proprio di Europa si occupa, in particolare del Parlamento europeo ed edito da il Mulino (“Il Parlamento europeo“). L’assemblea eletta dai cittadini europei, spiega il professore, avrà un ruolo nella composizione della prossima Commissione e non solo, ma occhio a non cadere nelle semplificazioni e nei determinismi, che non aiutano a capire cosa succederà all’indomani delle consultazioni.
Professore, quanto sono importanti le prossime elezioni europee di giugno?
Su questo vorrei rispondere in modo quasi controintuitivo, per sgombrare il campo a un equivoco che è presente nel dibattito italiano, che oscilla tra una sottovalutazione e una sopravvalutazione. Chiediamoci che cosa stiamo eleggendo. Stiamo eleggendo il Parlamento, un organo dell’Unione europea che ha assunto, progressivamente e soprattutto negli ultimi anni, un ruolo sempre più forte, sempre maggiori poteri sia dal punto di vista della forma di governo, per esempio relativamente alla formazione della Commissione, sia relativamente al procedimento legislativo e lo stiamo vedendo anche in questi giorni rispetto, ad esempio, all’IA Act.
Quindi?
Quindi i cittadini europei sono chiamati a eleggere altro che un organo che non conta nulla, ma un organo che storicamente ha assunto maggiori poteri nel corso della storia dell’integrazione europea fino alla situazione attuale in cui si tratta, effettivamente, di un co-legislatore, al pari del Consiglio e insieme anche alla Commissione. Dall’altra parte, però, bisogna stare attenti a non commettere l’errore contrario, cioè pensare che tutto il futuro dell’Europa e del pianeta dipenda da queste elezioni europee.
Torniamo allora all’importanza delle consultazioni di giugno.
Queste elezioni serviranno a stabilire i nuovi equilibri tra le forze politiche in campo a livello europeo e quindi a ridefinire l’indirizzo politico della Commissione, i nomi dei commissari e il nome del presidente. Ma il Parlamento farà tutto questo in rapporto con il Consiglio, che invece da queste elezioni europee non viene toccato, perché come sappiamo dipende dagli equilibri politici dei singoli Stati. Quindi, queste elezioni sono certamente importantissime, hanno a che vedere con un organo particolarmente importante, ma non comporteranno uno stravolgimento perlomeno immediato, degli equilibri del Consiglio. E siccome la forma di governo dell’Unione europea è data da questa sommatoria di tre organi – Consiglio, Commissione e Parlamento – è difficile immaginare che i prossimi equilibri europei saranno paragonabili a quelli che accade in una democrazia bipartitica o bipolare. È tutto più complicato, come dimostra anche la legislatura che si sta concludendo.
In molti Paesi c’è stata un’avanzata importante delle forze di destra anche estrema, ultimo esempio il caso del Portogallo. Questo ci può dare indicazioni sulla composizione del prossimo Parlamento europeo?
Dobbiamo sempre stare attenti, in queste situazioni, ai meccanicismi e ai determinismi, cioè data una premessa ne ricavo conseguenze necessarie. Non è tutto esattamente così. L’ultima volta che si è votato era il 2019, oggi siamo nel 2024, ed è ovvio che cinque anno a livello continentale le cose sono cambiate ed è evidente e probabile che questi cambiamenti produrranno una geografia parlamentare che rispecchierà alcuni di questi cambiamenti. In questi cinque anni abbiamo assistito a un avanzamento di formazioni politiche rubricabili nella destra sovranista, se così vogliamo dire, e nella destra conservatrice. Queste elezioni sono importanti anche per misurare queste avanzate. Ad avanzate intere dovranno corrispondere lo stesso tipo di avanzate nelle elezioni europee? Non lo sappiamo. I sondaggi che fino ad ora sono usciti indicano delle linee di tendenza.
Quali?
Raggruppamenti che genericamente si collocano alla destra del Ppe è probabile che possano ritrovarsi parlamentari in più rispetto a quelli che avevano fino ad adesso. Altre formazioni tradizionali sembrano mostrare un po’ la corda, insomma non sono in grandissimo spolvero i raggruppamenti liberali e liberal-democratici. Il Ppe e il gruppo socialista sono date in sostanziale tenuta, poi naturalmente ci sono i Verdi e i 5 Stelle in Italia che esulano da questi raggruppamenti. Se verranno confermate queste tendenze, ci saranno dei cambiamenti ma non così radicali da immaginare uno stravolgimento che crea una sorta di bipolarismo con le destre in maggioranza e tutto ciò che si muove alla sinistra delle destre, all’opposizione. È uno scenario un po’ fantascientifico, ma siamo ancora a metà marzo e manca l’intera campagna elettorale.
L’Ue ha affrontato delle crisi importanti negli ultimi anni. quali anticorpi ha sviluppato e cosa invece ancora deve fare per far fronte alle sfide future?
L’Ue ha di volta in volta affrontato le crisi con gli strumenti che aveva a disposizione. E in qualche caso ha fatto tesoro delle difficoltà e si sono manifestate, delle criticità che non è riuscita ad affrontare nella maniera ottimale e si è autoriformata. Il classico esempio è quello delle crisi finanziarie successive alla crisi che proveniva dagli Stati Uniti nel 2007-2008 e che in Europa si è trasformata in una crisi dei debiti sovrani. In quel momento l’Ue ha dimostrato di avere pochi strumenti e di saperli usare male. È stata però utilizzata per auto riformarsi, anche alcune costituzioni come la nostra nell’articolo 81. Poi c’è stata la crisi Brexit.
Come ha inciso?
L’Ue in questo caso aveva poco da fare. Il Parlamento britannico ha delegato al corpo elettorale, attraverso un referendum, la scelta di stare dentro o fuori, e il popolo ha deciso di uscire. A quel punto si trattava di capire come gestire la situazione. Oggettivamente tutta la vicenda ha dimostrato le grosse criticità dentro il sistema politico britannico più che in quello europeo.
Poi ci sono il Covid e l’invasione dell’Ucraina…
Se nei due casi precedenti il Parlamento non ebbe un ruolo nelle crisi, per ragioni strutturali e politiche, sia sul Covid che sulle vicende di crisi della rule of law (Polonia e Ungheria, ad esempio), sia nel caso dell’Ucraina, il Parlamento per quello che può fare ha assunto una postura più da protagonista di quanto non abbia fatto nei casi precedenti.
Cosa ci dice questo rispetto al futuro?
Certamente l’Ue deve ripensare sé stessa, e mi auguro che la prossima legislatura sia soprattutto questo, una legislatura costituente, sebbene in senso atecnico perché l’Ue è già costituita, ma radicalmente riformatrice delle sue strutture basilari, dovendo prendere una decisione che sarà fondamentale.
Quale?
L’Europa si trova davanti a un bivio: una soluzione nazional-governista, che punta quindi sempre di più a una Ue che si occupi di pochissime cose, costantemente contrattate da un coordinamento dei governi, una soluzione che vedrebbe negletti Commissione e Parlamento. L’altra strada possibile è invece, di stampo federale, ossia che all’opposto veda delle riforme dei trattati che vadano a sottolineare sempre più il ruolo del Parlamento e della Commissione, non per cancellare il ruolo dei governi ma per rimodulare i rapporti tra questi organi.
Ci può fare un esempio?
Ad esempio consentendo anche al Parlamento e ai parlamentari di essere titolari del potere di proporre la legislazione, che ora fa capo alla Commissione, rivedere le procedure decisionali dentro il Consiglio, riducendo all’osso le materie da decidere all’unanimità nonché semplificando quelle che già non si decidono all’unanimità. Questo è il grande bivio, ed è opportuno che l’elettorato europeo sappia che queste elezioni determineranno anche la strada da percorrere in questo senso.