La Commissione europea ha aperto una serie di indagini contro Alphabet, Amazon, Apple e Meta per verificare che le loro regole interne rispettino le norme comunitarie. Entrate in vigore da neanche un mese e già applicate. Un chiaro segnale di come siamo entrati in una nuova fase, dove le Big Tech saranno tenute sotto stretta sorveglianza
Non c’è pace per le Big Tech. Dopo che il governo degli Stati Uniti ha portato in tribunale Apple per il suo monopolio, adesso è il turno dell’Unione europea. L’indagine avviata lunedì per presunta non conformità al Digital Markets Act (Dma) coinvolge sempre l’azienda di Cupertino, ma anche Amazon, Alphabet e Meta.
La Commissione europea giudicherà pertanto le regole adottate da Apple e Alphabet in materia di steering rules. Il timore di Bruxelles è che le due grandi aziende non consentano agli sviluppatori di indirizzare i consumatori su offerte esterne, come prevede la legge europea, visto che entrambe imporrebbero varie restrizioni e limitazioni, compresa la possibilità di promuovere e concludere accordi terzi.
Le due aziende sono finite nel mirino della Commissione anche per le loro regole di self-preferencing, con Alphabet che potrebbe indirizzare i risultati sul motore di ricerca verso i servizi Google a discapito della concorrenza, mentre l’azienda di Tim Cook potrebbe aver impedito ai suoi utenti di disinstallare in modo semplice le applicazioni su iOS, di modificare le impostazioni predefinite dal sistema e di richiedere utenti con schermate di scelta che devono consentire con efficacia e semplicità di selezionare un servizio predefinito alternativo, come browser o motori di ricerca.
Per quanto riguardo Meta, la sua inchiesta verte sul modello pay or consent, su cui Bruxelles vuole indagare per verificare se sia effettivamente in linea con la legge che obbliga i gatekeeper – ovvero sei società: Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta, Microsoft – a ottenere il benestare degli utenti quando intendono combinare o utilizzare in modo incrociato i dati personali su diversi servizi principali della piattaforma.
Ci sono inoltre altre misure che interessano Amazon che potrebbero aver violato il Dma, allo stesso modo della nuova struttura tariffaria stilata da Apple. Infine, la Commissione europea ha chiesto a tutte e quattro le aziende sopracitate, più Microsoft, di conservare alcuni documenti che potrebbero risultare utili ai fini dell’indagine.
Come ha sottolineato la commissaria per la concorrenza europea, Margrethe Vestager, siamo di fronte a “casi gravi”, oltre che “emblematici per ciò che il Dma dovrebbe garantire quando si tratta della scelta dei consumatori. Se fossimo stati in grado di risolverli con una semplice discussione, lo avremmo già fatto”. Serve dunque andare fino in fondo alle varie questioni, per cui è necessario aprire indagini ad hoc. Nonostante le Big Tech abbiano già intrapreso contromisure per essere conformi alla legge. “Non siamo convinti che le soluzioni adottate da Alphabet, Apple e Meta rispettino i loro obblighi per uno spazio digitale più giusto e aperto per i cittadini e le imprese europee”, ha osservato il commissario al mercato interno, Thierry Breton. “È abbastanza chiaro a che punto ci troviamo: in generale, sono stati compiuti diversi sforzi e alcuni cambiamenti, ma non sono adeguati alla questione”, gli ha fatto eco l’europarlamentare Andreas Schwab, tra i promotori più attivi del Dma.
Da parte loro, le accusate si difendono affermando di aver lavorato sempre in buona fede e promettendo collaborazione. Apple si ritiene “fiduciosa”, garantendo di voler continuare “a collaborare in modo costruttivo con la Commissione europea mentre conducono le loro indagini”. Amazon invece si dice “rispettosa” delle regole per cui si è “impegnata in modo costruttivo” nel rispettarle. Meta sostiene che “gli abbonamenti come alternativa alla pubblicità sono un modello di business ben consolidato in molti settori”: una vena polemica, forse, ma che non toglie il fatto di voler continuare dialogare con il braccio esecutivo dell’Ue. Google ha parlato attraverso il suo direttore alla concorrenza, Oliver Bethell: “Per rispettare il Dma, abbiamo apportato modifiche significative al modo in cui i nostri servizi operano in Europa. Continueremo a difendere il nostro approccio nei prossimi mesi”.
C’è un dettaglio che solo all’apparenza può sembrare tale. Il Dma si applica ai gatekeepers a partire da inizio marzo, quindi da meno di un mese. E la Commissione non ha perso un secondo prima di avviare le prime indagini. Un chiaro segnale di come in Europa si è aperto un nuovo capitolo, dove le Big Tech sono chiamate a rigare non dritto, di più.