Conversazione con il capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo: “Le elezioni americane? Esiste una posizione storica dell’Italia che non cambia con l’avvicendarsi dei governi. Investire in difesa? Non significa togliere soldi da altre voci del bilancio pubblico. Il Ppe? In ritardo, ma vira a destra: mi auguro che non sia soltanto un posizionamento tattico”
La nostra posizione è uguale, a Roma e a Bruxelles: mai con la sinistra. Parte da questo assunto il capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, per tracciare la rotta che i conservatori di Ecr terranno in vista sia delle prossime elezioni di giugno sia degli accordi per i nuovi vertici istituzionali dell’Ue. Nel mezzo, la partita elettorale è intrecciata ad altri fattori, primari e secondari, come le primarie repubblicane americane, il congresso del Ppe, la possibilità che la presidente del Consiglio si candidi in tutte le circoscrizioni. “Giorgia Meloni sarà protagonista delle prossime trattative per i posti che contano in Europa, mentre in Italia nessuna delle predizioni catastrofiche della sinistra si è avverata: lo dimostrano il Pnrr, i numeri record dell’occupazione, l’acquisto dei Btp da parte di risparmiatori italiani, i record della Borsa”.
Il primo fatto del giorno è il trionfo di Donald Trump nel “Super Tuesday” delle primarie repubblicane. Nomination ormai assicurata. C’è molto allarme nelle cancellerie europee per una sua possibile vittoria alle elezioni generali e c’è chi dice che sarebbe un grosso problema anche per Giorgia Meloni. Condividete queste preoccupazioni?
Personalmente sono sempre stato piuttosto allergico alla narrazione mainstream contro Trump, sempre così distante dalla realtà del popolo americano. I nostri rapporti con i Repubblicani americani sono noti e seguiamo con grande interesse e assoluto rispetto questa fase. Naturalmente esiste una posizione storica dell’Italia che non cambia con l’avvicendarsi dei governi. C’è un rapporto solido tra Meloni e Biden, ma questo non fa di Giorgia una donna di sinistra o di Biden un uomo di destra. Quanto a Trump, penso che se venisse rieletto ci troveremmo di fronte un leader pragmatico, non credo che distruggerebbe la Nato ma certamente andrebbe avanti nel chiedere agli alleati inadempienti di rispettare i propri impegni. E noi dobbiamo farlo, non solo perché gli impegni vanno onorati, ma perché ne va della nostra sicurezza e quindi della nostra libertà. Investire in difesa non significa togliere soldi da altre voci del bilancio pubblico, ma garantire ai nostri popoli attraverso la deterrenza la libertà di continuare a vivere senza essere aggrediti, invasi, bombardati.
Tornando all’Europa, il congresso del Ppe incoronerà Ursula von der Leyen come candidata alla guida della prossima Commissione e approverà un documento programmatico molto spostato a destra. Manovre di avvicinamento in corso?
Ho letto alcuni stralci del documento e sicuramente ci sono spunti interessanti che denotano un riposizionamento, purtroppo tardivo, su alcuni temi a partire da Green Deal e immigrazione. Temi su cui già negli ultimi mesi abbiamo votato insieme a Strasburgo, anche con il gruppo ID e una parte dei liberali. Mi auguro che non sia soltanto un posizionamento tattico, magari per prendere voti a destra e giocarseli poi in un nuovo accordo con i socialisti. Il nostro obiettivo rimane prendere tanti voti per costruire una maggioranza senza le sinistre: siamo l’unica garanzia affinché i voti di centrodestra non vengano spesi a sinistra e non rimangano nel congelatore di gruppi politicamente isolati (Identità e Democrazia, ndr). Quanto a von der Leyen attendiamo il risultato delle elezioni e le proposte programmatiche. Non ricordo a memoria precedenti di partiti di governo il cui premier abbia partecipato all’accordo sulla futura Commissione esprimendo il proprio Commissario e poi non abbiano votato il presidente designato. È una dinamica normale, che nulla c’entra però con la partecipazione stabile a una maggioranza parlamentare. Su questo la nostra posizione è uguale, a Roma e a Bruxelles: mai con la sinistra.
Green e salvaguardia di imprese e posti di lavoro: è possibile?
È doveroso, è proprio per questo che serve una rivoluzione conservatrice nell’Ue. Chi in questi ultimi cinque anni ha messo impresa e ambiente l’una contro l’altro ha danneggiato la competitività europea, l’innovazione, la ricerca, il lavoro e la tenuta sociale, consegnandoci a una nuova dipendenza strategica dai colossi asiatici inquinatori proprio mentre ci stiamo liberando da quella russa. Ci riempiamo la bocca di autonomia strategica e sovranità europea, obiettivi sacrosanti… ma quale autonomia e quale sovranità potremo perseguire se nel frattempo avremo desertificato il nostro continente dal punto di vista industriale e agricolo? Il Green Deal deve essere completamente ripensato, tutte le normative folli che ne sono scaturite devono essere riviste prima che il mercato si adegui e si consumi un danno irreparabile. Speriamo di avere i numeri per farlo.
Quale il valore aggiunto di avere il leader del partito al governo che è anche, per la prima volta in Italia, leader di un partito europeo?
Giorgia Meloni sarà protagonista delle prossime trattative per i posti che contano in Europa. Lo sarà da primo ministro di un grande Paese fondatore, terza economia e seconda manifattura d’Europa, espressione di una maggioranza politica solida e di legislatura. Una leader forte in mezzo a leader deboli, da Macron a Scholz a Sánchez. E lo sarà da leader di una famiglia politica, quella dei Conservatori europei, che vuole ottenere una grande affermazione il 9 giugno. Lavorando bene possiamo diventare la terza forza del prossimo Parlamento europeo. Questi farà di Giorgia Meloni uno dei kingmaker dei negoziati post elezioni.
La candidatura eventuale di Giorgia Meloni alle europee che valore aggiunto potrà dare?
Le elezioni dell’8 e 9 giugno saranno ovviamente un test sul governo ma saranno anche un confronto tra due diverse idee di Europa. Giorgia Meloni è naturalmente un grande punto di riferimento per gli elettori di centrodestra e lo è diventato anche per molti che nel 2022 non ci avevano votato ma si sono dovuto ricredere. Ha dimostrato una forza a livello internazionale che tutti ormai le riconoscono e aiuterebbe anche a parlare di Europa durante la campagna elettorale. Personalmente, come tutti i dirigenti apicali del nostro Partito, mi auguro che decida di candidarsi. Sarebbe un bel segnale e sarebbe anche una bella sfida tra lei e Elly Schlein, sempre che il suo partito consenta alla segretaria Pd di candidarsi.
Come replicare alle accuse di chi agitava lo spettro della troika prima delle elezioni del 2022? Oggi lo spread è sotto i 140…
I numeri parlano chiaro. Così come i risultati ottenuti sul Pnrr, i numeri record dell’occupazione, dell’acquisto dei Btp da parte di risparmiatori italiani, i record della Borsa di Milano e tanto altro. Nessuna delle predizioni catastrofiche della sinistra si è avverata. Anzi, una volta al governo abbiamo dimostrato che si possono tenere in ordine i conti pubblici, smantellando l’assistenzialismo di Stato, investendo su chi crea lavoro e sostenendo il potere d’acquisto dei redditi medio-bassi. Anziché continuare a tifare per lo spread, per i meteoriti o le cavallette, la sinistra farebbe un ottimo servizio all’Italia chiedendoci scusa e cominciando a diventare parte della soluzione, dopo essere stata per troppi anni il principale problema della nostra nazione.
@FDepalo