Dopo che alcuni Paesi hanno agito unilateralmente, Bruxelles sembra essere sul punto di istituire forme di protezionismo nei confronti dei prodotti cerealicoli russi. A pesare sono i motivi interni
Nel conflitto in Ucraina vi è una guerra nella guerra, quella del grano. Sin dal febbraio del 2022 intorno al cereale coltivato estensivamente nelle pianure sarmatiche da entrambi i lati del fronte si sono sviluppate trame legate a doppio filo all’andamento degli scontri sul campo di battaglia: dal blocco militare dei porti ucraini e dalla crisi delle esportazioni all’iniziativa della Black Sea Grain Initiative e alla sua dismissione, dalle tensioni intra-europee sui corridoi per le esportazioni della produzione di Kyiv al all’accordo sul grano tra Mosca e Pechino. E presto a saga potrebbe aggiungersi un nuovo capitolo.
Sembra infatti che l’Unione europea stia lavorando per imporre tariffe sulle importazioni di grano dalla Russia e dalla Bielorussia. A spingere verso questa restrizione, la prima verso i prodotti alimentari russi sin dall’inizio del conflitto, c’è la volontà di sostenere gli agricoltori e alcuni Stati membri dell’Unione. La Polonia e gli Stati baltici hanno spinto a lungo per limitare le importazioni di grano da Mosca e Minsk, ma Bruxelles aveva sempre fermato queste pressioni sostenendo che una simile avrebbe rischiato di creare una forte disruption nei mercati alimentari globali, andando così a danneggiare i Paesi in via di sviluppo. Eppure, fonti del Financial Times che hanno familiarità con i piani europei avvertono che nei prossimi giorni potremmo assistere a un cambio dirotta in questo senso, con l’imposizione da parte della Commissione europea di un dazio di novantacinque euro a tonnellata sui cereali provenienti da Russia e Bielorussia, dazio che farebbe aumentare i prezzi di almeno il 50% facendo così crollare la loro domanda. Inoltre, accanto alle tariffe sul cereale in sé si prevede anche l’imposizione di dazi della stessa portata sui semi oleosi e sui prodotti derivati. Nel 2023, le importazioni europee di cereali, semi oleosi e loro derivati dalla Russia hanno raggiunto il record di quattro milioni di tonnellate, pari all’1% del consumo complessivo dell’Unione. Importazioni che vanno a sostenere, anche se indirettamente, la macchina da guerra di Mosca impegnata in Ucraina.
Ma alcuni dei Paesi membri si sono già mossi per proprio conto: a febbraio, la Lettonia ha imposto un divieto unilaterale su molte importazioni di prodotti alimentari dalla Russia e dalla Bielorussia, mentre la Lituania ha annunciato severe ispezioni sui carichi. E dopo che in un primo momento aveva definito “trascurabili” le esportazioni di grano russo nel suo stato natale il polacco Janusz Wojciechowski, commissario europeo per l’agricoltura, ha cambiato rotta la scorsa settimana affermando che “quando la Russia usa il cibo come un’arma, dobbiamo reagire”.
In Polonia gli agricoltori stanno protestando perché le importazioni a basso costo sia dall’Ucraina che dalla Russia minano il mercato del grano nazionale. Le proteste, che hanno incluso blocchi al confine con l’Ucraina, sono diventate un’irritazione nelle relazioni tra il primo ministro polacco Donald Tusk e il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy. Questi problemi già erano stati oggetto di frizioni durante la campagna elettorale in Polonia, con il precedente governo di Varsavia che aveva addirittura sospeso l’invio di materiale militare a Kyiv. Tusk ha dichiarato ad inizio del marzo di quest’anno che Riga ha comprensibilmente imposto il proprio divieto sulle esportazioni di prodotti alimentari russi e ha avvertito che la Polonia potrebbe seguirne l’esempio, aggiungendo però che “preferirebbe che decidessimo insieme, come Unione, le sanzioni alla Russia e alla Bielorussia sui prodotti alimentari e agricoli”. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha risposto al primo ministro polacco che stava “valutando la possibilità di introdurre restrizioni all’importazione di prodotti agricoli dalla Russia”.
Ma anziché sanzioni, è più probabile che l’Unione decida per i dazi. Questo per due motivi principali: il primo è che non richiederebbe l’approvazione unanime delle capitali, come invece avviene per le sanzioni; il secondo è che questa forma consentirebbe ai prodotti russi di transitare nell’Ue lungo la rotta verso l’Africa e l’Asia, evitando così di esporsi ad attacchi da parte di Mosca. La quale già in passato ha accusato l’Unione di aver causato interruzioni nel mercato alimentare globale con le sue sanzioni alle banche e alle compagnie energetiche russe, ottenendo la solidarietà di alcuni Paesi in via di sviluppo.